L’Australia è una delle zone al mondo dove gli effetti della crisi climatica in atto sono più evidenti. Fasi di siccità sempre più gravi, ondate di calore da record ed eventi alluvionali estremi ci indicano che il tempo per agire sta per scadere.
Il generale Angus John Campbell, capo della Forza di difesa non ha usato mezzi termini affermando che “non stiamo affrontando solo una minaccia ambientale in Australia, ma ci sono implicazioni significative per le nostre capacità di sicurezza e di difesa nazionali di cui non ci siamo ancora resi conto”. Se le proiezioni sono corrette, i cambiamenti climatici avranno gravi conseguenze per la sicurezza globale. L’Australia dopo il devastante ciclone Winston ha inviato nel 2016 circa 1.000 truppe a sostegno dell’Operazione Fiji Assist e circa 1.600 membri dell’Australian Defence Force sono intervenuti dopo che il ciclone Debbie ha colpito il Queensland. All’inizio del 2019 circa 3.000 soldati hanno prestato il loro aiuto dopo le alluvioni nel Nord Queensland. Il numero di truppe dispiegate in missioni di soccorso in caso di calamità risulta così essere un impegno significativo per la difesa.
Il cambiamento climatico funziona dunque come un moltiplicatore di minacce, aggrava i conflitti, approfondendo le fragilità esistenti all’interno delle società, mettendo a dura prova le istituzioni deboli, rimodellando gli equilibri di potere e minando la ripresa postbellica e il consolidamento della pace. Secondo una nuova indagine sui conflitti armati condotta dall’International Institute for Strategic Studies (IISS) i fattori climatici legati alla violenza armata e ai conflitti aumenteranno con il progredire della crisi ambientale.
L’indagine ha sottolineato, ad esempio, che anche la guerra in Siria sia stata favorita dagli effetti dei cambiamenti climatici. L’insurrezione del 2011 contro il presidente Bashar al-Assad, trasformatasi poi in una lunga guerra civile, è stata preceduta dalla siccità più profonda e prolungata che il Paese abbia mai vissuto negli ultimi 500 anni. Uno studio pubblicato su Proceedings of the National Academy Sciences ha rivelato che la siccità ha avuto più del doppio di probabilità di accadere a causa dei cambiamenti climatici e che ha contribuito ad alimentare la migrazione verso le grandi città, che a sua volta ha esacerbato i problemi sociali che hanno causato i disordini. La siccità ha causato il fallimento del 75% delle aziende agricole siriane e la perdita dell’85% del bestiame tra il 2006 e il 2011, secondo i dati diffusi dalle le Nazioni Unite. Il crollo dei raccolti ha costretto quasi 1 milione e mezzo di siriani a migrare verso i centri urbani, come Homs e Damasco.
“Non stiamo dicendo che la siccità abbia causato la guerra” ha affermato Richard Seager, coautore dello studio e climatologo del Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University. “Quello che pensiamo è che, insieme a tutti gli altri fattori scatenanti, abbia aiutato a spingere gli eventi oltre la soglia di non ritorno”. Questa dinamica non è avvenuta solo in Siria. Numerose ricerche hanno infatti evidenziato come negli ultimi trent’anni si sia verificato uno stretto legame tra l’aumento delle temperature e il rischio di guerre, in modo particolare nell’Africa sub-sahariana, zona dove sono già in atto migrazioni climatiche soprattutto tra Stati confinanti.