Dopo l’estate nera australiana, con i devastanti incendi che tra la fine del 2019 e l’inizio dell’anno hanno distrutto più di 18 milioni di ettari di territorio tra il New South Wales e lo stato di Victoria, un’area grande circa un terzo di tutta la superficie dell’Italia, è il momento della presa di coscienza su come agire dopo uno dei peggiori disastri ambientali della storia. L’emergenza incendi è stata dichiarata conclusa lo scorso 13 febbraio e il bilancio è tragico: 30 vittime, 1 miliardo di animali morti (la stima è dell’Università di Sydney), e l’immissione nell’atmosfera terrestre circa 400 milioni di tonnellate di anidride carbonica a causa del fumo degli incendi. La coalizione conservatrice al governo ha notoriamente qualche problema nel riconoscere l’evidenza della crisi climatica e anche davanti alla tragedia degli incendi conferma la sua posizione negazionista.
E’ stata annunciata ieri da parte del premier Scott Morrison l’istituzione della Bushfire Royal Commission, una commissione che, nei suoi intenti, sembra più concentrata sulle misure emergenziali e sulle (importanti) azioni pratiche di protezione civile che sulla più che necessaria politica in materia di cambiamenti climatici.
L’emergenza climatica in Australia, infatti, non è mai stata affrontata con politiche di adattamento e l’Australia si è classificata nel 2020 Climate Change Performance Index al 57° posto su 57 Paesi per le azioni sul cambiamento climatico, di mitigazione e adattamento. Il rapporto State of the Climate 2018 del Bureau of Meteorology aveva ampiamente dimostrato che i cambiamenti climatici hanno causato in Australia un aumento delle ondate di caldo estremo ed aggravato eventi catastrofici come la siccità e gli incendi.
Il legame tra i cambiamenti climatici e la catastrofe degli incendi boschivi è innegabile ed è necessario un piano politico a lungo termine che si concentri sulla necessità della riduzione delle emissioni dei gas serra.
Non sembra inoltre essere servito a molto nemmeno il Black Saturday, un altro evento tragico per l’Australia: il 7 febbraio del 2009 un enorme incendio nello stato di Victoria provocò 173 vittime e la distruzione di 2000 abitazioni, lasciando senza casa 7500 persone. Il 10% della popolazione della cittadina di Marysville perse la vita. Questo evento fu definito il ground zero dei disastri ambientali e anche in seguito a questa catastrofe fu istituita una Commissione che però non prese mai in considerazione il cambiamento climatico come fattore chiave nello scatenarsi dei roghi.
Da quella Commissione arrivarono importanti decisioni sulle procedure da intraprendere in caso di incendio e molte leggi cambiarono per favorire una maggiore comunicazione tra cittadini e vigili del fuoco ma nulla fu deciso sulle strategie politiche da adottare per ridurre l’entità degli effetti dei cambiamenti climatici in Australia. A distanza di 10 anni si potrebbe ripetere lo stesso errore, con l’aggravante che in questo lasso di tempo la comunità scientifica internazionale ha prodotto nuove ed importanti evidenze sulla causa antropica della crisi climatica e sul legame tra aumento delle temperature ed eventi estremi. Questa miopia politica potrebbe danneggiare non solo l’Australia e i suoi abitanti ma il Pianeta intero.