Anche con Biden il fracking non si ferma. Ecco di cosa si tratta e perché preoccupa scienziati e medici
Dal nuovo presidente USA nessuno stop al fracking, una tecnica di estrazione molto controversa per gli effetti che ha sull'ambiente e sulla salute delle persone
La posizione di Joe Biden sul fracking appare purtroppo in contrasto con i diversi punti del suo programma che fanno sperare in un impegno più concreto degli Stati Uniti nella lotta ai cambiamenti climatici e nella protezione del nostro Pianeta.
Biden alla Casa Bianca: una reale speranza per il clima? Cosa ci si aspetta dal nuovo presidente USA |
La questione fracking si è dimostrata scivolosa per Biden anche durante un faccia a faccia con Trump che ha visto i due allora candidati alla presidenza USA affrontarsi, a fine ottobre, anche su tematiche ambientali. Accusato da Trump di incoerenza per essersi detto precedentemente contrario al fracking e per essersi poi rimangiato la parola, Biden ha mostrato effettivamente una posizione poco limpida.
In realtà, nel 2019 l’attuale presidente si era espresso in modo piuttosto chiaro sulla questione, quando – rispondendo ai quesiti di una giornalista della CNN sul futuro del carbone e sul fracking – aveva risposto «ci assicureremo che venga eliminato e che non ci siano più sussidi». Un proposito che però è poi scomparso dall’attuale piano relativo al clima, che non menziona in alcun modo questa tecnica e che dunque non prevede di porvi fine, né di fermare nuovi permessi.
Cos’è il fracking
Si tratta di una tecnica utilizzata soprattutto per l’estrazione di gas naturale. È stata inventata negli Stati Uniti, dove ha conosciuto una vasta diffusione soprattutto negli ultimi vent’anni.
La parola fracking unisce i nomi di due pratiche, l’hydraulic fracturing e l’horizontal drilling, ovvero la fratturazione idraulica e la trivellazione orizzontale.
La tecnica del fracking è decisamente invasiva per l’ambiente, e consiste nello scavo di un pozzo orizzontale molto profondo da cui il gas viene pompato verso l’alto grazie all’iniezione nella roccia di acqua, sabbia e altri prodotti chimici.
Le conseguenze sono serie, sull’ambiente e non solo: preoccupa anche l’impatto sulla salute dei cittadini
Per quanto riguarda l’ambiente, preoccupa l’enorme quantità di acqua che viene consumata per il fracking, e che deve anche essere trasportata sul posto con emissioni significative.
La tecnica prevede l’iniezione nel sottosuolo anche di un mix di sostanze chimiche tossiche. Anche se in molti casi le società non hanno reso noti tutti i prodotti chimici utilizzati nel processo, i risultati di un’indagine del Congresso USA, pubblicati nel 2011, hanno evidenziato che tra le sostanze chimiche rinvenute molte possono causare il cancro o altri rischi per la salute.
«Le società di servizi di gas e petrolio – si legge nel rapporto – hanno usato prodotti per la fratturazione idraulica (delle rocce, ndr) contenenti 29 sostanze chimiche che sono potenzialmente o certamente cancerogene per l’uomo, considerate rischiose per la salute umana secondo la legge sull’acqua potabile sicura, o elencate come inquinanti atmosferici pericolosi secondo il Clean Air Act».
Rischi per la salute derivano anche dai livelli di radioattività, che secondo uno studio dei ricercatori di Harvard pubblicato poche settimane fa sulla rivista Nature, sono ben al di sopra del normale nelle zone poste sottovento rispetto ai pozzi. Anche se le radiazioni non raggiungono livelli estremamente elevati, hanno spiegato gli scienziati, i rischi per la salute sono concreti: per esempio, le particelle inalate possono aumentare il rischio di cancro ai polmoni.
Numerose sostanze inquinano anche l’atmosfera: le operazioni previste dal fracking rilasciano infatti contaminanti, come benzene, PM 2,5 e molti altri, che hanno conseguenze sulla qualità dell’aria e sulla salute delle persone. In particolare, in questo caso gli effetti sarebbero importanti soprattutto sui lavoratori impiegati nella stessa industria, che rischiano di respirare sostanze tossiche e altri materiali pericolosi che si disperdono nell’aria, come la silice.
Un report dello United States Geological Survey pubblicato nel 2015 ha evidenziato un aumento vertiginoso dei terremoti scatenato dall’industria estrattiva di gas e petrolio. Il National Earthquake Information Center ha confermato che nello stato dell’Oklahoma, dove in media si registrano solo 2 scosse all’anno al di sopra del livello 3 della scala Richter, solo nel 2014 se ne sono registrate più di 580, e oltre 840 nel 2015.
A suscitare grandi preoccupazioni sulle conseguenze del fracking è anche l’impatto che questa industria ha sulle nuove nascite e sulla salute dei neonati. Uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances, infatti, ha analizzato le condizioni di circa 1,1 milioni di neonati nello stato della Pennsylvania per 9 anni: è emerso che, nel raggio di un chilometro dallo scavo di un pozzo, la possibilità che un neonato nasca con un peso inferiore ai 2,5 kg è del 25%. L’incidenza scende tra il 9 e il 14% in un raggio compreso tra 1 e 3 km dai pozzi. In media, negli Stati Uniti i bambini pesano 3,4 kg alla nascita.
I punti di forza del fracking
L’enorme successo del fracking è dovuto in particolare alla possibilità di raggiungere anche riserve di gas e di petrolio a cui normalmente sarebbe estremamente difficile arrivare. Permettendo ai Paesi di “produrre” internamente queste risorse, genera anche un sensibile ribasso dei loro prezzi e permette di ridurre anche le emissioni di CO2 che derivano dall’importazione di gas e petrolio da Paesi lontani.
Nonostante i fattori positivi non manchino, le conseguenze negative di questa industria appaiono preoccupanti, e ancora una volta dovrebbero farci riflettere sull’urgenza di concentrare politiche e investimenti su soluzioni che ci permettano di fare a meno una volta per tutte delle risorse non rinnovabili del nostro Pianeta, la cui estrazione ha impatti estremamente gravi sotto molteplici aspetti.
Il via libera al fracking vanifica le speranze riposte in Biden?
No, il piano di Biden appare promettente sotto diversi punti di vista (difficile, d’altronde, fare peggio del suo predecessore): significativo è stato il fatto che il primo annuncio del neo eletto presidente abbia riguardato proprio il clima, con la conferma della volontà di riportare gli Stati Uniti tra i firmatari dell’Accordo di Parigi dopo l’addio voluto da Tump.
Secondo gli esperti, se Joe Biden riuscirà a portare avanti le politiche ambientali e climatiche previste dal suo programma, con il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 e investimenti per 1,7 trilioni di dollari in una ripresa green per uscire dalla crisi generata dal Coronavirus, nei prossimi 30 anni le emissioni statunitensi di anidride carbonica dovrebbero ridursi di circa 75 gigatonnellate. Secondo Climate Action Tracker, questa cifra permetterebbe di risparmiare a tutto il mondo circa 0,1°C di aumento della temperatura entro il 2100.