Lo studio matematico sulle traiettorie dei rifiuti che viaggiano dalle coste verso gli oceani
Le "isole di plastica" sono la dimostrazione di un Pianeta in piena crisi ambientale. Il lavoro degli studiosi può avere importanti implicazioni nelle opere in atto di pulizia degli oceani
Uno studio matematico pubblicato su Chaos (rivista interdisciplinare di scienza non lineare) ha identificato le traiettorie dei rifiuti che viaggiano dalle coste verso le zone degli oceani dove rimangono intrappolati dalle correnti rotatorie subtropicali. Il team guidato dall’esperto di fisica dei fluidi Philippe Miron dell’Università di Miami ha analizzato i viaggi della spazzatura in relazione alla diversa forza delle correnti rotatorie che agiscono nelle aree subtropicali avvalendosi anche dei dati storici ricavati dalle boe oceaniche. “Abbiamo utilizzato la teoria dei percorsi di transizione per dedurre percorsi “reattivi” di traiettorie di detriti marini galleggianti. L’analisi è stata applicata su un modello di catena di Markov omogeneo nel tempo, consapevole dell’inquinamento costruito da traiettorie prodotte da boe indesiderate tracciate via satellite dal Global Drifter Program della National Oceanic and Atmospheric Administration. Collegando direttamente le fonti di inquinamento lungo le coste con aree di immondizia di varia forza, le rotte di inquinamento reattivo svelate rappresentano obiettivi alternativi per gli sforzi di pulizia degli oceani”.
Le “isole di plastica” sono la dimostrazione di un Pianeta in piena crisi ambientale: ammassi di rifiuti galleggiano nel bel mezzo dei nostri oceani e purtroppo se ne sono formate in ogni parte del mondo. Quella dell’Oceano Pacifico chiamata “Pacific Trash Vortex” è la più grande, con un minimo di 700.000 km² di estensione fino a più di 10 milioni di km², per un totale di circa 3 milioni di tonnellate di rifiuti accumulati; per rendere l’idea, le sue dimensioni sono simili a quelle della Penisola Iberica. Anche le altre non sono da meno; una si trova ancora nel Pacifico, 2 nell’Atlantico, una nell’Oceano Indiano, una più piccola recentemente identificata nell’Oceano Artico e rischiano di ingrandirsi vertiginosamente entro qualche anno se non vengono adottate delle soluzioni efficaci. La spazzatura proviene in gran parte dalla terraferma, è radunata dal gioco delle correnti e dei venti e va a ricoprire grandi superfici marine; è composta prevalentemente da plastica, metalli leggeri e residui organici in degradazione.
Il modello matematico di cui si sono serviti i ricercatori, ha identificato un canale di transizione che collega la “Pacific Trash Vortex” con le coste dell’Asia orientale; è stata così confermata un’importante fonte di inquinamento da plastica di origine asiatica. Inoltre ha evidenziato come il vortice dell’Oceano Indiano si comporti come una trappola per la plastica infatti altri depositi importanti sono stati trovati nel Golfo del Bengala. Nell’Atlantico, invece, le plastiche vengono più facilmente catturate nel Golfo di Guinea al largo dell’Africa. Il vortice del Pacifico meridionale è il più persistente, in quanto le plastiche intrappolate riescono a sfuggire molto difficilmente. Il lavoro di questi studiosi può avere importanti implicazioni nelle opere in atto di pulizia degli oceani ma è sempre fondamentale che ognuno di noi apporti delle sostanziali modifiche al proprio stile di vita, per ridurre l’impatto enorme che la plastica e la cattiva educazione genera sul nostro ambiente.