Il summit di Biden decisivo per il clima: «gli USA ora fanno sul serio», ma il successo del vertice non dipende solo da loro. L’analisi con Jacopo Bencini
Esperto di governance del clima, Jacopo Bencini ci aiuta a comprendere meglio cosa c'è sul tavolo a Washington: la riuscita del summit del 22 aprile potrà rilanciare l'ambizione globale e ridare speranza all'Accordo di Parigi
«Se il summit sul clima rispetterà le aspettative ci troveremo di fronte a un cambio di marcia globale, e potremo ricominciare a parlare di un possibile successo dell’Accordo di Parigi».
Tra pochi giorni i principali leader globali dovrebbero incontrarsi per parlare di clima in un vertice organizzato dal presidente USA Joe Biden: Jacopo Bencini, policy advisor di Italian Climate Network ed esperto di governance del clima, ha pochi dubbi sul fatto che potremmo essere a un passo da un punto di svolta in termini di politiche.
Come avevano anticipato quando sono rientrati tra i firmatari dell’Accordo di Parigi sul Clima, gli Stati Uniti annunceranno il proprio NDC, ovvero l’obiettivo in materia di riduzione delle emissioni, in occasione della Giornata della Terra, giovedì 22 aprile, data in cui si aprirà anche la due-giorni di negoziati organizzata dalla Casa Bianca. L’attesa per l’annuncio è alle stelle, anche perché tutte le premesse fanno pensare che Washington si dimostrerà parecchio ambiziosa in questo senso, ma c’è già stata una novità importante a cui forse finora è stata prestata poca attenzione, e che rappresenta quella che Bencini definisce come «una prima rivoluzione politica di Biden».
Per quanto riguarda gli obiettivi di riduzione delle emissioni, ci conferma Bencini, gli Stati Uniti punteranno in alto: lo ha ribadito di recente anche John Kerry (l’inviato speciale USA per il clima, ndr), che ha detto che Washington annuncerà un target molto ambizioso, e secondo alcuni osservatori potrebbe puntare anche al -50% nel 2030 rispetto ai valori del 2005.
Ma quello che colpisce davvero è che nella convocazione del summit Biden dice chiaramente di puntare a mantenere il riscaldamento globale sotto 1.5°C, non 2 gradi, quindi secondo l’approccio più ambizioso dell’Accordo di Parigi ed in linea con quanto chiesto dalla società civile globale.
Questa è la vera rivoluzione politica di Biden rispetto all’amministrazione precedente, che aveva addirittura cancellato l’agenzia per l’ambiente del governo federale: c’è un salto di qualità notevolissimo.
L’obiettivo di riduzione delle emissioni potrà variare rispetto ai rumors, lo scopriremo a breve: quello che conta davvero è che si punta a 1.5°C. È qualcosa che gli Stati Uniti forse non avevano mai menzionato con così tanta chiarezza, neanche ai tempi della firma dell’Accordo di Parigi, e dimostra che Biden sta investendo davvero tanto capitale politico in questa iniziativa. Alto anche il valore simbolico delle date, con un summit in programma proprio tra la Giornata della Terra (22 aprile) e quella del Multilateralismo (24 aprile).
Significativo in questo senso anche il Big Government Plan (il piano stilato dall’amministrazione Biden per far ripartire l’economia americana dopo la crisi provocata dal Covid-19, ndr): un piano molto ambizioso che punta tanto anche sulle rinnovabili, e che insieme all’obiettivo di limitare il riscaldamento globale entro 1.5°C sembra indicare che gli Stati Uniti ora fanno sul serio.
Un altro aspetto che probabilmente per gli USA è più importante dell’NDC governativo, è il potenziale privato: in America il governo federale ha un impatto diverso rispetto ai governi europei sulle emissioni del Paese, lì il settore privato ha una grande capacità di catalizzare investimenti ed energie in politiche, in questo caso di sostenibilità. Non a caso nella convocazione del summit troviamo un focus importante sugli attori privati, che deriva anche dall’esperienza di We Are Still In, nata negli Stati Uniti quando sotto l’amministrazione Trump gli attori privati si sono organizzati per non fare passi indietro sul clima. Quando nel 2018 San Francisco ospitò il vertice Global Climate Action Summit, con i principali attori privati e dei singoli stati americani, l’importante messaggio che uscì dal palazzo dei congressi della città fu questo: “ce la facciamo anche senza il governo federale, a livello di singoli stati e di private companies“.
Ecco, credo che Biden stia tentando di riavviare un ragionamento politico basato su questo, in un’alleanza forte con il settore privato, dove però il governo federale dà ambiziosi obiettivi di massima.
Ma gli Stati Uniti non saranno gli unici protagonisti: c’è grande attesa anche per altri importanti leader che sono stati invitati da Biden. Tra questi c’è anche il premier della Cina, il primo Paese al mondo per emissioni: pensi che Xi Jinping accetterà l’invito? Possiamo aspettarci passi avanti significativi?
La Cina sarà estremamente importante, e lo conferma anche il fatto che nei giorni scorsi John Kerry si sia recato lì di persona per discutere proprio di clima e piani futuri.
Al momento Pechino si è data l’obiettivo di raggiungere il picco delle emissioni entro il 2030 e la neutralità climatica nel 2060. Ci si aspetta che alzino l’ambizione, ma è difficile sapere quanto in alto punteranno e se daranno delucidazioni già durante il prossimo summit, a cui credo che parteciperanno. Vedere che Kerry è volato a Shanghai per parlare con il ministro cinese fa pensare che ci siano manovre in questo senso.
Tuttavia è più probabile che la Cina aspetti un’occasione diversa per annunciare i propri obiettivi e la propria strategia. Il 1 luglio si celebrerà il centenario dalla nascita del Partito Comunista Cinese, l’occasione potrebbe rappresentare un momento di slancio politico per Xi Jinping ed il governo. Credo che la Cina si stia preparando a novità importanti, anche in vista della COP26, e penso che l’occasione per annunciarle potrebbe essere quella: probabilmente al summit di Biden il Paese confermerà di essere ambizioso ma preferirà comunicare da Pechino, in occasione delle celebrazioni o in successive occasioni, quanto in alto punteranno i Cinesi.
Anche se non annuncerà novità importanti sulla sua ambizione, la presenza della Cina e la sua collaborazione saranno determinanti durante il summit del 22 aprile.
Sì, certamente Biden cercherà un’alleanza strategica con la Cina, d’altra parte non possiamo dimenticare che anche lo stesso Accordo di Parigi nacque proprio da un’alleanza tra Obama e Xi.
Tra gli invitati anche la Russia e l’Arabia Saudita. Da una parte c’è grande attenzione per le recenti tensioni tra Washington e Mosca, dall’altra cresce l’attesa di scoprire cosa porteranno ai negoziati i Sauditi, che finora si sono dimostrati ben poco sensibili alle questioni climatiche ambientali.
La tensione tra USA e Russia è aumentata notevolmente, ma da fonti russe sembra che Putin abbia intenzione di partecipare al summit. Se non dovesse succedere, sarebbe una prima crepa nell’operazione di Biden.
Anche l’Arabia Saudita è tra i Paesi invitati al summit, e questo è un elemento che pone degli interrogativi interessanti. Storicamente i Sauditi hanno sempre assunto un atteggiamento contrario a rialzi dell’ambizione climatica globale, mostrando di non avere interesse a ridurre le emissioni e quindi il consumo di energie fossili e climalteranti a livello globale. Sarà estremamente interessante vedere come si concretizzerà la loro partecipazione a un summit il cui invito esortava tutti i Paesi a presentarsi con obiettivi più ambiziosi.
Quanto sarà alta la posta in gioco a Washington?
Molto. Se il summit rispetterà le aspettative e tutti i governi invitati si presenteranno ci troveremo di fronte a un primo successo globale di Biden nel multilaterale, e potremo ricominciare a parlare di un possibile successo dell’Accordo di Parigi in questo senso.
Vorrà dire che gli Stati Uniti riprenderanno in mano, attraverso azioni politiche e non solo intenzioni unilaterali, una leadership globale sul tema, chiaramente condivisa con i principali partner, in primis la Cina, e vedremo veramente un rilancio globale dell’ambizione.
Al contrario, se la Cina, la Russia o altri non si presenteranno, l’intera operazione potrebbe ridursi ad qualcosa di più limitato nello scopo, con il rischio, non credo concreto, di un ritrovo del “club degli occidentali” per il clima.
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