Le piogge in Italia tra gli anni ‘80 e ‘90
Quarto “appuntamento” con il clima dell’ultimo ventennio del secolo scorso: panoramica attraverso i dati e confronto sia con i decenni precedenti (anni ’60 e ’70) che con i venti anni più recenti. A cura di Simone Abelli e Giovanni Dipierro
Come e quanto ha piovuto sull’Italia negli ultimi venti anni del secolo scorso?
Lo descriveremo attraverso le distribuzioni dei millimetri di pioggia caduta (ricordiamo che a ogni millimetro corrisponde 1 litro d’acqua caduta su una superficie di 1 un metro quadro …in altre parole, millimetri e litri al metro quadro sono numericamente del tutto equivalenti) e dei giorni di pioggia verificatisi.
Si definisce un giorno di pioggia quello in cui si misura almeno 1 millimetro di precipitazione nell’arco delle 24 ore; questa soglia non è univoca, ma cambia a seconda del Paese che si considera (ad esempio in Canada il valore è 0.2 mm, in molti Paesi dell’America Centrale e Meridionale è 0.1 mm), pertanto occorre fare attenzione quando si confrontano i dati fra diverse zone del globo.
Senza ulteriori premesse mostriamo subito la mappa con la distribuzione geografica dei millimetri caduti mediamente in un anno all’interno del ventennio.
Come possiamo vedere dalla scala sulla destra si spazia dai 300-400 millimetri all’anno a picchi prossimi ai 1300. Naturalmente nella distribuzione geografica si possono riconoscere quali sono le caratteristiche geografiche e ambientali ideali per avere grossi quantitativi di piogge:
- vicinanza di un mare caldo che faciliti l’afflusso di aria calda e umida
- presenza di una barriera orografica, meglio ancora se direttamente esposta a venti dominanti che apportano quest’aria calda e umida di origine marittima
- aree favorevoli, specie nella stagione estiva, all’azione dei temporali
È evidente come i rilievi e le aree pianeggianti prossime alle montagne contino maggiori quantitativi di pioggia rispetto alle pianure distanti dai monti e ai litorali. Si passa infatti da almeno 800-900 mm, con punte fino a 1200-1300 mm, a soli 300-400 mm di aree come il Ferrarese, gran parte della Puglia, le coste meridionali della Sicilia e della Sardegna.
L’esposizione a umidi venti marittimi fa poi sì che i millimetri di pioggia del Friuli, delle Prealpi lombarde e venete superino quelli registrati nelle Alpi occidentali o sulle più interne Alpi lombarde e dell’Alto Adige, “coperte” proprio dalla fascia prealpina. Si distinguono poi il Carso, l’Appennino ligure, le Alpi Apuane, i monti che contornano la Campania e le coste tirreniche della Calabria, i quali estendono i loro effetti anche alle coste e quindi alla Riviera di Levante, alla Versilia, ai golfi di Napoli e Salerno.
Anche la direzione predominante dei venti ha la sua importanza: le riviere liguri registrano con maggiore frequenza il Libeccio, vento da sud-ovest che colpisce più direttamente il Levante, mediamente più piovoso quindi del Ponente.
Anche il numero di giorni di pioggia, qui di seguito rappresentato, ricalca caratteristiche simili e cresce in genere con la quota e la frequenza degli afflussi di aria umida.
Le aree più piovose, con in media almeno 75 giorni di pioggia all’anno, sono le zone interne del Centro, quelle limitrofe alle Prealpi e il Friuli Venezia Giulia. Gran parte dell’Italia comunque conta almeno 55-60 giorni piovosi all’anno e l’area più asciutta risulta Sicilia sud-orientale con soli 40 giorni.
Le mappe mostrate rappresentano una sintesi “annuale” di regimi pluviometrici in realtà molto vari presenti in Italia. Gli stessi quantitativi di pioggia infatti si distribuiscono durante l’anno in maniera decisamente differente, così variegata che è difficilmente sintetizzabile.
Si possono comunque evidenziare alcuni punti comuni:
- al Sud e nelle Isole piove soprattutto dall’autunno all’inizio della primavera, mentre l’estate è decisamente siccitosa con meno di 50-60 millimetri distribuiti in non più di 10 giorni.
- Le Alpi (Prealpi escluse) hanno i maggiori quantitativi e le piogge più frequenti in estate in seguito alla maggiore frequenza dei fenomeni convettivi con sviluppo di temporali pomeridiani e serali. L’inverno è in genere più siccitoso, caratteristica che accomuna queste zone montane anche alla Val Padana.
- Il resto d’Italia, pur sempre in un ambito di estrema variabilità, ha un regime pluviometrico caratterizzato da due massimi coincidenti con le stagioni intermedie, l’autunno e la primavera. Mentre però al Nord questo andamento è particolarmente accentuato (autunno che conta il maggior numero di millimetri di pioggia; primavera con le piogge più frequenti), man mano che si procede verso sud la flessione invernale si attenua e si riduce solo a un breve periodo (su gran parte del Centro l’inverno finisce per essere la stagione più piovosa dopo l’autunno).
Facciamo ora un confronto di quanto descritto con quanto avvenuto invece prima e dopo la fine del secolo scorso, partendo dagli anni ’60 e ’70.
Dall’analisi dei dati emerge che a livello nazionale il quantitativo medio di piogge cadute in un anno è diminuito del 14%, un andamento che, come si può vedere dal grafico che segue, si ribadisce sia in ambito stagionale, sia a livello di macro aree Nord/Centro/Sud e Isole.
Nel grafico si evidenzia inoltre che la riduzione delle piogge:
- è stata ovunque più accentuata nel trimestre invernale con un dato nazionale leggermente oltre il 25% in meno
- è stata in tutte le stagioni più accentuata al Nord: da un -8% della primavera a un -37% dell’inverno
Questa riduzione, accentuata soprattutto nel periodo tra novembre e marzo, è riconducibile a un minor numero di perturbazioni transitate sull’Italia in seguito a un cambiamento nelle abitudini dell’Anticiclone delle Azzorre. Questa importante struttura barica, anziché stazionare quasi stabilmente nel semestre freddo in Atlantico, con centro appunto in prossimità delle Azzorre, e lasciare così la strada libera alle perturbazioni atlantiche, in realtà ha assunto con maggiore frequenza una inconsueta posizione fino a comprendere spesso l’Inghilterra, la Francia, la Germania e l’Italia settentrionale. Si è comportato quindi come un anticiclone di blocco impedendo l’arrivo nel Mediterraneo e in Italia alle suddette perturbazioni.
Inoltre, con l’Anticiclone delle Azzorre proteso fino all’Inghilterra, le perturbazioni atlantiche che ugualmente hanno raggiunto l’Italia scorrendo lungo il suo bordo orientale, sono state sospinte da intense correnti settentrionali verso le Alpi, dove in genere hanno lasciato gran parte del loro carico di piogge sul versante nord della catena montuosa. E questo spiegherebbe perché i cali più evidenti riguardino la Pianura Padana che verrebbe sistematicamente saltata dalle piogge in seguito alla protezione offerta dai rilievi alpini.
Passando al confronto col ventennio più recente si nota, considerando l’Italia nel suo insieme, un ulteriore leggero calo (del 2%) dei quantitativi annuali fra il periodo 2000-2020 rispetto al periodo 1980-1999. Una diminuzione quasi impercettibile se confrontata con quella rispetto agli anni ’60-’70, che farebbe pensare a una sorta di situazione sostanzialmente stabilizzatasi negli ultimi decenni. In realtà, osservando i dati più in dettaglio, si notano diverse peculiarità che concorrono a caratterizzare le trasformazioni climatiche in atto negli ultimi anni.
Innanzitutto il leggero calo a livello nazionale sembra sia dovuto alla generale riduzione delle precipitazioni avvenuta al Centro-Nord soprattutto in primavera e in estate, mentre le regioni meridionali e le Isole hanno sperimentato una ripresa, più o meno marcata a seconda del periodo dell’anno. Da notare come i quantitativi autunnali e invernali abbiano mostrato una tendenza alla crescita, eccetto le precipitazioni autunnali al Centro che invece sono calate; in questo caso può essere considerato un recupero rispetto al precedente vistoso calo osservato dagli anni ’60-‘70. Comunque, tali variazioni non fanno altro che accentuare le differenze fra le stagioni estreme, rendendo ancora più siccitoso il periodo secco dell’anno e più piovoso il semestre autunno-invernale. Considerando oltremodo l’ulteriore smussamento del secondo picco annuale di precipitazioni, quello primaverile, che caratterizza maggiormente le zone più settentrionali del Paese, si può ipotizzare un leggero spostamento, da parte di queste regioni, verso un regime pluviometrico più tipico del clima mediterraneo che caratterizza soprattutto le regioni meridionali e che prevede un solo picco annuale, in corrispondenza con la stagione fredda. L’incremento dei quantitativi autunno-invernali può essere spiegato con un Mediterraneo mediamente più caldo che, quindi, è in grado di fornire più energia e vapore alle perturbazioni in transito, con conseguente aumento non tanto dei periodi piovosi, quanto dell’intensità delle piogge mediamente osservata nei singoli eventi.
Fonti:
Abelli S., Dipierro G., Giuliacci M. Il clima dell’Italia nell’ultimo ventennio Milano ed. Alpha Test 2001 Leggi anche: La nebbia in Italia tra gli anni ‘80 e ‘90 |