Alluvioni e frane: nessuno è escluso dai rischi della crisi climatica, nemmeno l’Italia
Eventi meteo estremi sempre più frequenti e una crescente cementificazione: il territorio è sempre più fragile
Le ultime notizie di cronaca sulle devastanti alluvioni che hanno colpito Austria, Belgio e Germania, l’incredibile ondata di caldo record che ha colpito il Canada e gli Stati Uniti occidentali, seguita dai numerosi incendi che hanno raso al suolo centinaia di ettari, sono solo gli ultimi drammatici episodi che dimostrano quanto la crisi climatica stia già cambiando la frequenza e portata degli eventi meteo estremi. Nessun continente, nessuna nazione, nessuno può ritenersi salvo. Perché le conseguenze del cambiamento climatico riguardano il Mondo intero, e non risparmiano né i Paesi poveri né quelli ricchi.
Il numero di eventi meteo estremi è aumentato significativamente a livello globale: da un totale di 3.656 eventi rilevati tra il 1980 e il 1999, si è passati a 6.681 eventi nel ventennio 2000-2019. E le alluvioni sono più che raddoppiate negli ultimi 20 anni. Secondo uno studio, focalizzato sulla condizione europea, in mezzo millennio, gli ultimi 30 anni sono stati tra i periodi in cui si sono registrate più alluvioni in assoluto.
Eventi meteo estremi e territorio fragile: la situazione in Italia
Anche in Italia abbiamo assistito ad un aumento del numero di eventi estremi. Solo ieri un forte nubifragio ha interessato Palermo, allagando diverse zone della città; e l’episodio si è verificato ad un anno di distanza dalla terribile alluvione lampo che ha colpito la città. Difficile tenere il conto degli eventi meteo estremi che hanno colpito il nostro territorio negli ultimi anni: tra i più recenti c’è sicuramente la pesante ondata di maltempo che ha colpito il Nord-Ovest, soprattutto il Piemonte e la Liguria, nell’ottobre del 2020; un anno prima il record di acqua alta a Venezia. Ma questi sono solo i più clamorosi.
L’aumento degli eventi meteo estremi è connesso al riscaldamento globale e il Mediterraneo è uno degli “hot spot“, ossia è un’area critica dove la temperatura cresce più della media globale e più esposta alle conseguenze dei cambiamenti climatici.
Il nostro territorio è particolarmente fragile: per le sue caratteristiche morfologiche, litologiche e idrografiche è infatti naturalmente predisposto a fenomeni franosi e alluvionali. L’Italia è il paese europeo maggiormente interessato da fenomeni franosi: circa i 2/3 delle frane censite in Europa si verifica proprio a casa nostra1.
Le frane vengono causate soprattutto da precipitazioni brevi e intense, da quelle persistenti e dai terremoti. Le aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata ricoprono oltre 25 mila chilometri quadrati, così come le aree a pericolosità idraulica media, quelle in cui il rischio di alluvioni con tempo di ritorno fra 100 e 200 anni.
Complessivamente sono 7.275 (il 91,1%) i comuni italiani interessati da aree a pericolosità da frana e/o idraulica: ciò significa che sono quasi 1.282.000 le persone che abitano in una zona a rischio frane, e circa 6.183.300 le persone che vivono in zona a rischio alluvione.
Cementificazione: nel 2020 in Italia abbiamo perso quasi 2 metri quadrati ogni secondo
La cementificazione aumenta il rischio di frane e alluvioni. In Italia abbiamo una densità di popolazione di circa 200 abitanti per chilometro quadrato, quasi 8000 comuni e quasi 60 mila nuclei urbani. Dal secondo dopoguerra si è verificato un forte incremento delle aree urbanizzate, spesso in assenza di una corretta pianificazione territoriale e alti tassi di abusivismo.
E il consumo del suolo non si è fermato nemmeno durante la pandemia. Secondo l’ultimo rapporto del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, nel 2020 nonostante i mesi di blocco di gran parte delle attività durante il lockdown, abbiamo mangiato quasi due metri quadrati ogni secondo, coprendo di cemento aree agricole e naturali. In tutto l’anno scorso abbiamo perso più di 50 chilometri quadrati di natura, impermeabilizzando ormai il 7,11% del territorio nazionale (la media UE è del 4,2%).
I valori percentuali più elevati del suolo consumato sono in Lombardia (12%), Veneto (11,8%) e Campania (10,4%). La provincia dove il consumo di suolo netto è cresciuto di più nel 2020 è Roma con 271 ettari di nuovo suolo artificiale, seguita da Brescia (+214) e Vicenza (+172). Tale incremento contribuisce a far diventare sempre più calde le nostre città, con il fenomeno dell’isola di calore.
E così, un territorio già predisposto a fenomeni alluvionali e franosi, è diventato ancora più fragile. Negli ultimi decenni i fattori antropici hanno infatti assunto un ruolo sempre più determinante tra le cause predisponenti delle frane2. La diffusa impermeabilizzazione del territorio, impedendo l’infiltrazione della pioggia nel terreno, inoltre aumenta i quantitativi e le velocità dell’acqua che defluisce verso i corsi d’acqua, amplificando il rischio di allagamenti ed eventi alluvionali.
Dal rapporto SNPA emerge che, nel confronto tra i dati 2019 e 2020, 767 ettari del consumo di suolo annuale si sono concentrati all’interno delle aree a pericolosità idraulica media e 285 in quelle a pericolosità da frana, di cui 20 ettari in aree a pericolosità molto elevata (P4) e 62 a pericolosità elevata.
Eventi meteo estremi e cementificazione: le conseguenze
Secondo il Global Climate Risk Index del 2019, l’Italia si posiziona come sesto Paese del Mondo per numero di vittime causate da eventi meteo estremi nell’arco degli ultimi 20 anni. In Italia sono morte in media 1.005 di persone ogni anno tra il 1998 e il 2017. Peggio di noi solo Francia, Cina, Russia, India e Myanmar.
Importanti anche le perdite economiche. Per far fronte al dissesto idrogeologico il Ministero dell’Ambiente negli ultimi 20 anni ha stanziato quasi 7 miliardi di euro, il 48% destinato alle alluvioni e il 35% alle frane. Inoltre, in base alle richieste caricate nel ReNDiS, è stato stimato che per la messa in sicurezza del territorio sarebbero necessari 26 miliardi di euro.
Oltre ad aggravare il rischio idrogeologico, il consumo di suolo produce anche un danno economico potenziale (per la perdita dei servizi ecosistemici del suolo) che supera i 3 miliardi di euro ogni anno. Coprendo il terreno con il cemento dal 2012 ad oggi abbiamo perso 4 milioni e 155 mila quintali di prodotti agricoli e 360 milioni di metri cubi di acqua piovana, che altrimenti si sarebbe infiltrata nelle falde acquifere, e la capacità di stoccaggio di circa 3 milioni di tonnellate di carbonio (l’equivalente delle emissioni di CO2 di oltre un milione di autovetture con una percorrenza media di 11.200 km l’anno tra il 2012 e il 2020).
- Herrera, G., Mateos, R.M., García-Davalillo, J.C. et al. (2018) Landslide databases in the Geological
Surveys of Europe. Landslides, 15, 359-379 - Rapporto ReNDiS 2020
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