Quello sulle questioni legate alla trasparenza nella reportistica sotto l’Accordo di Parigi appare, anche a molti addetti ai lavori, come uno dei temi negoziali più ostici.
Nelle sessioni negoziali, soprattutto da COP24 – quando furono approvate le linee-guida generali sulla reportistica – in poi, si è parlato di tabelle, righe, colonne, formule, creazione di software per l’inserimento di dati. Quello che sottende l’intera vicenda è in realtà un fatto politico rilevantissimo in termini di governance: per la prima volta nella storia, un accordo internazionale (l’Accordo di Parigi) permetterà di avere un sistema di misurazione unico non solo delle emissioni di ogni Paese, ma anche dei progressi fatti nelle azioni di mitigazione e adattamento. Insomma, di uno strumento universale di rilevazione e misurazione.
Uno degli obiettivi di COP26 è arrivare al termine del negoziato con un accordo in merito al formato e contenuto delle tabelle per la reportistica post-2020, (che vedrà un unico sistema comune per tutti i Paesi da adottare entro il 2024) per passare quindi allo sviluppo di un software che permetterà di popolare questi nuovi database. Sfida non facile viste le numerose differenze di vedute e di approccio.
Nonostante tutto, dalla prima giornata di negoziato (domenica 31 ottobre) si è respirata un’aria di positività e volontà di arrivare al risultato. I delegati sembrano voler raggiungere quanto lasciato in sospeso a Katowice cercando di trovare la giusta mediazione tra ambizione ed effettive capacità di reportistica dei Paesi, secondo il principio delle responsabilità comuni, ma differenziate. La stessa impressione ci è stata confermata da alcuni delegati nazionali che abbiamo incontrato, che preferiscono rimanere anonimi. Vari Paesi hanno, poi, ribadito la necessità di dover essere efficienti nei tavoli di lavoro e di focalizzarsi sugli argomenti da discutere, senza dilungarsi nell’affrontare temi secondari che non porterebbero ad una decisione comune all’interno di queste due settimane.
Non mancano tuttavia degli ostacoli da oltrepassare. Non tutti i Paesi sono fisicamente presenti a Glasgow e, oltre ai problemi logistici per raggiungere la sede dei negoziati in orario per chi partecipa in presenza, non è garantita una buona diretta video per chi invece deve partecipare da remoto, come ha fatto notare la delegata della Costa Rica. Inoltre, non tutti i Paesi sono risultati d’accordo nello sfruttare piccoli gruppi di lavoro tematici per portare avanti le discussioni anche al di fuori dalle sessioni ufficiali.
I buoni propositi della prima giornata della COP26 sono venuti un po’ meno durante la seconda (lunedì 1 novembre) che ha visto invece Brasile e Arabia Saudita innescare voluti rallentamenti nella discussione tramite, per esempio, osservazioni (piuttosto strumentali, dal nostro punto di vista) sull’inadeguatezza del titolo del documento presentato dai co-facilitatori nella sessione e sul fatto che la nota di lavoro non rispecchiasse, a loro dire, i commenti presentati da tutte le parti.
Nelle sessioni si è parlato anche: dell’introduzione di una fase-pilota per testare quello che dovrebbe essere il nuovo software di raccolta dati, di realizzare linee guida per l’utilizzo dello stesso (altri osservatori della rete CAN International si chiedono: “Chi svilupperà il software? Ce ne sarà uno solo per tutti?”) e della definizione di un calendario preciso, che permetta di raggiungere gli obiettivi di reportistica nei tempi stabiliti. Considerando che sarebbe auspicabile avere già un prodotto semifinito nel 2023, l’anno prima dalla scadenza del 2024 per l’entrata in vigore del nuovo sistema universale, basteranno queste due settimane per trovare un accordo su tutte le questioni?
Questo articolo, redatto da Aurora Audino e Jacopo Bencini, è stato originariamente pubblicato da Italian Climate Network e fa parte del Bollettino COP pubblicato dall’associazione. Per ricevere il Bollettino dai negoziati sul clima è possibile iscriversi a questo link. |
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