Neve, i fattori che determinano la durata del manto nevoso e la sua influenza sul micro-clima
Addentrandosi nella stagione fredda la probabilità che le precipitazioni si verifichino sottoforma di neve si fa più alta, specialmente in montagna e alle quote più elevate, per la gioia degli sciatori e dei tanti ammiratori del paesaggio innevato. In questo articolo avevamo trattato il limite inferiore di una nevicata e il motivo per cui esso solitamente si abbassa durante le fasi di precipitazione più intensa. In determinate situazioni la nevicata riesce a spingersi a quote sensibilmente inferiori rispetto allo zero termico, specialmente nelle valli più strette che incidono i maggiori settori montuosi. A nevicata conclusa, tuttavia, il destino del manto nevoso al suolo è legato a moltissimi fattori tra i quali la latitudine, la stagione, l’esposizione, la ventosità di un luogo e, naturalmente, all’andamento meteorologico.
Da cosa dipende la durata del manto nevoso?
La durata del manto nevoso, oltre che dalle variabili meteorologiche, dipende dalle caratteristiche del terreno e naturalmente dallo spessore della coltre. La caratteristica forse più importante della neve, in particolare di quella fresca, è certamente la sua capacità di riflettere gran parte la radiazione solare (a onda corta). La neve fresca ne riflette anche più del 90% (nel gergo tecnico si dice che l’albedo vale 0.90), mentre l’albedo della neve più vecchia e sporca è significativamente più basso, potendo scendere fino a 0.4. Una spolverata di neve che ricopre un terreno accidentato o un bosco avrà vita breve in una giornata soleggiata se la temperatura dell’aria non è ben al di sotto dello zero: in queste condizioni, infatti, i raggi solari scalderanno i sassi emergenti, o i rami degli alberi, tutte superfici più scure e assorbenti della neve, e in poco tempo trasmetteranno il loro calore alla neve fondendola. Come esempio opposto possiamo immaginare uno spesso manto depositatosi su una superficie orizzontale regolare, ad esempio un prato con l’erba tagliata, in una situazione in cui splende il sole e la temperatura dell’aria è di qualche grado al di sopra dello zero.
Gran parte dei raggi solari, specialmente in un giornata invernale in cui il sole è basso, verrà riflessa e il calore da essi trasferito al manto nevoso sarà pochissimo, mentre la neve dissiperà energia irraggiando verso lo spazio radiazione a onda lunga, o infrarossa (a dispetto delle apparenze, infatti, il ghiaccio è un efficiente assorbitore ed emettitore in questa porzione dello spettro e nei suoi confronti esso si comporta come un “corpo nero”). Se l’aria è secca, inoltre, i cristalli della superficie tenderanno a sublimare (un passaggio di fase in cui il ghiaccio si trasforma in vapore acqueo) sottraendo energia e raffreddando lo strato nevoso. Possiamo anche supporre che il vento sia molto debole e che di conseguenza siano deboli i moti turbolenti atmosferici, di modo che il calore dell’aria (che abbiamo immaginato a temperatura positiva) si trasferirà con fatica allo strato superficiale della neve; in gergo tecnico diremo che il flusso di calore sensibile diretto dall’aria verso la neve è molto piccolo. In sintesi, in una situazione come quella descritta il bilancio energetico sulla superficie nevosa (figura 1) è tale per cui essa assorbe poca energia dall’ambiente ed è soggetta a una fusione modesta o trascurabile. Molti di noi, specialmente frequentando la montagna, si saranno accorti che su alcuni pendii nelle giornate soleggiate la neve resta farinosa anche se non fa molto freddo.
Il bilancio energetico illustrato ci porta facilmente a immaginare un esempio opposto, cioè una situazione meteorologica in cui uno strato nevoso avrà una vita molto breve. Pensate a un giorno con cielo molto nuvoloso e temperatura dell’aria positiva (anche di poco), umido e ventoso e osserverete la neve assottigliarsi quasi a vista d’occhio. Inoltre, diversamente dalle situazioni in cui il cielo è sereno, la neve fonderà con ritmo quasi uguale in ogni tipo di esposizione e orientamento, anche sui pendii più ombreggiati.
L’andamento meteorologico influenza il manto nevoso anche in altri modi: il vento, ad esempio, è in grado di spostare grandi quantità di neve dalle zone più esposte per formare cumuli, talora imponenti, nelle aree riparate, creando talvolta condizioni favorevoli al distacco di valanghe dai pendii più ripidi. Il regime termico e meteorologico che segue una nevicata (stiamo parlando di situazioni che in Italia riguardano per lo più la montagna) favorisce i processi di metamorfismo (costruttivo o distruttivo) del manto nevoso che, come suggerisce il nome, conducono a una progressiva trasformazione e “ricostruzione” dei cristalli di neve, che possono avere come risultato la formazione di strati più scorrevoli, rendendo più facile un eventuale successivo distacco di valanghe a lastroni. Gli sciatori alpinisti e i frequentatori della montagna invernale, almeno quelli più avveduti, che hanno imparato questi concetti si muovono con maggiore sicurezza nell’ambiente innevato.
L’influsso della neve sul clima
Se è vero, come appena ricordato, che le condizioni ambientali influenzano il manto nevoso, non è meno importante l’influsso della neve sul clima, sia a livello locale che su scala globale. Con riferimento al clima globale sappiamo che neve e ghiaccio, specialmente alle alte latitudini, esercitano un’importante ruolo di regolazione termica proprio tramite l’effetto dell’albedo (si veda ad esempio questo articolo dove sono stati esaminati alcuni fra i più importanti meccanismi di retroazione del sistema climatico). Ma l’influsso del manto nevoso è significativo anche a livello locale ed è molto evidente sulle temperature massime, specialmente nelle giornate di sole.
La temperatura dell’aria di una zona innevata si mantengono più basse sia a causa della riflessione dei raggi solari, sia a causa dei cambiamenti di fase del ghiaccio, in particolare fusione, evaporazione o sublimazione, tutti processi che sottraggono energia. Alcuni studi hanno misurato l’effetto di uno strato nevoso sufficientemente spesso (10-20 cm) e rilevato un calo medio delle temperature massime di 4-5°C nelle giornata serene, con importanti differenze in dipendenza della stagione (la differenza, come è intuitivo, è maggiore in primavera), dell’orografia e della copertura vegetale, per i motivi a cui abbiamo accennato all’inizio di questo capitolo. L’influsso sulle temperature minime è in media più contenuto (2-3°C), ma tutt’altro che trascurabile. Le notti più gelide di un inverno e i minimi assoluti di temperatura (almeno nelle zone in cui può essere presente un manto nevoso) sono quasi sempre correlate alla presenza di neve al suolo.
Le condizioni più favorevoli per un sensibile raffreddamento della superficie nevosa e dell’aria sovrastante sono costituite da calma di vento in un atmosfera secca e limpida, che favorisce allo stesso tempo un’efficace perdita di energia irraggiata verso lo spazio e un raffreddamento per sublimazione dei cristalli di ghiaccio. Un ruolo nel raffreddamento della superficie del manto nevoso (la cui temperatura può essere anche di 10°C più bassa rispetto a quella dell’aria) è svolto anche dall’effetto isolante nella neve nei confronti del suolo sottostante, in genere più caldo.