Quasi metà delle nazioni più vulnerabili non ha ricevuto i fondi climatici
Secondo uno studio molte nazioni, dell’Africa e non solo, stanno avendo problemi ad accedere ai fondi a loro destinati per affrontare la crisi climatica. Quasi la metà delle nazioni più vulnerabili del Mondo non hanno potuto accedere ai fondi dei progetti di adattamento del Green Climate Fund delle Nazioni Unite. Nel continente africano 13 dei 30 stati non hanno ricevuto fondi per sostenere i progetti di adattamento climatico.
Il Green Climate Fund è il fondo più importante di questo genere: è stato istituito dall’UNFCCC per assistere i paesi in via di sviluppo nelle pratiche di adattamento e mitigazione ai cambiamenti climatici. I progetti di adattamento comprendono piantare alberi per fermare l’avanzata del deserto o costruire argini per evitare le alluvioni.
I Paesi in via di sviluppo sono quelli più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico, e allo stesso tempo quelli che contribuiscono meno al riscaldamento globale. E il GCF è stato proprio pensato nell’ottica della giustizia climatica. Il fondo è stato istituito da 194 Paesi del Mondo per destinare ai Paesi più vulnerabili risorse che permettano loro di mettere in campo progetti di adattamento al cambiamento climatico. Con l’Accordo di Parigi si è deciso di destinare 100 miliardi di dollari alla finanza climatica entro il 2020, obiettivo che però probabilmente non raggiungeranno prima del 2023.
Più della metà degli Stati più vulnerabili non ha ricevuto i fondi del Green Climate Fund
Il Green Climate Fund ha destinato, come prima tranche, 5 miliardi di dollari tra il 2015 e il 2019, ma molti stati, quelli più vulnerabili, non sono ancora riusciti ad accedere al supporto, spiega Carbon Brief, per mancanza di risorse, dati e infrastrutture.
Uno studio, pubblicato su Science Direct ha analizzato i 2,5 miliardi di dollari stanziati dal fondo tra il 2015 e il 2019 a 84 dei 154 Paesi che hanno i requisiti per riceverli. Lo studio ha scoperto che il 54% dei fondi della prima tranche è stato destinato alle piccole isole, ai Paesi LDC (Least Developed Country – Paesi meno sviluppati del Mondo) e Stati dell’Africa. Questo significa che il Green Climate Fund è riuscito a destinare almeno la metà dei fondi ai Paesi più vulnerabili.
Ma la categorizzazione degli Stati, e quindi la priorità di accesso ai finanziamenti, è ancora troppo vaga: tra questi gruppi ci sono Stati più ricchi e Stati più poveri, pensiamo al Sud Africa e alla Somalia, ad esempio.
Per questo gli autori dello studio hanno proposto di stabilire il grado di vulnerabilità in base a indici già esistenti, e hanno proposto una classifica delle Nazioni, dalla più alla meno vulnerabile rispetto alla crisi climatica.
Attraverso questa scala, lo studio ha dimostrato che 16 delle 37 Nazioni inserite tra le più vulnerabili al cambiamento climatico non hanno ricevuto alcun finanziamento dal Green Climate Fund. Tra loro ci sono Paesi interessati da conflitti armati, come l’Afghanistan e lo Yemen, e alcuni dei Paesi a minor reddito, come Burundi e Repubblica Centrafricana. Nel continente africano non hanno ricevuto fondi 13 dei 30 stati LDC.
Secondo Gaia Larsen, esperta di finanza climatica del World Resources Institute (WRI), alcune regolamentazioni, stabilite per evitare spese eccessive, sono troppo complesse stanno impedendo ad alcuni di accedere ai fondi.
Il programma “Readiness”, ossia di preparazione, è stato pensato proprio per questo problema e nell’arco di 4 anni ha raggiunto i 172 milioni di dollari. Secondo lo studio solo il 6% degli Stati che hanno ricevuto i finanziamenti sono riusciti ad ottenerli grazie alle istituzioni nazionali e all’intermediazione di enti internazionali. Se non altro gran parte delle Nazioni più vulnerabili ha ricevuto accesso ai fondi del programma Readiness, ma non Eritrea, Somalia e Yemen.
Dalla fine della ricerca il numero di Nazioni a cui è stato dato accesso ai finanziamenti è aumentato da 84 a 108, ma non ancora 5 degli stati africani LDC. Insomma, il processo è ancora lungo, e si spera che nel tempo gli stati più vulnerabili, e in già difficoltà, non vengano lasciati indietro.