Crisi climatica e foreste: come reagiscono i boschi delle nostre montagne?
Dai Larici della Valle d'Aosta arrivano nuove risposte su come gli alberi delle montagne italiane rispondono al clima che cambia
Una recente ricerca ha analizzato gli effetti che il clima che cambia ha sulle foreste delle nostre montagne.
Oltre a giocare un ruolo chiave per il nostro territorio e per diversi settori della nostra economia, come ormai sappiamo bene i boschi sono indispensabili anche per affrontare la crisi climatica. Grazie alla fotosintesi, infatti, le foreste sono in grado di assorbire l’anidride carbonica presente in atmosfera e ridurre quindi uno dei principali gas serra responsabili del riscaldamento del clima.
Anche i boschi, però, subiscono gli impatti del cambiamento climatico. Gli effetti più dannosi sono legati in particolare alle ondate di calore e alla carenza di piogge, ma abbiamo visto fin troppo bene sul nostro stesso territorio come anche l’estremizzazione dei fenomeni più intensi possa provocare danni gravissimi alle nostre foreste. Per citare uno dei casi più noti in cui abbiamo assistito a fenomeni devastanti, secondo le stime la tempesta Vaia che nell’ottobre 2018 ha sferzato le foreste del Nord-Est con venti a oltre 200 km orari ha provocato danni per due miliardi di euro e ha danneggiato 42.800 ettari di bosco.
In particolare, lo studio che di recente si è interrogato sui legami tra il clima e le foreste si è focalizzato sui boschi d’alta quota della Valle d’Aosta e sugli effetti della crisi climatica sul larice, una specie forestale molto diffusa sul territorio italiano.
La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica Environmental Research Letters ed è stata condotta da ARPA Valle d’Aosta, insieme all’Università degli Studi di Torino, il Max Planck Institute di Jena e l’Università degli Studi di Milano.
Quello che è emerso dall’analisi è che la vulnerabilità del larice agli estremi climatici dipende molto dal momento in cui si trova nel suo sviluppo. L’albero si è infatti dimostrato resistente, ma non quando i fenomeni estremi legati al clima lo colpiscono nei periodi più delicati del suo sviluppo stagionale.
I ricercatori hanno studiato lo stato degli alberi in particolare tra il 2015 e il 2017, focalizzandosi su aspetti come la crescita del fusto e la sua durata, il flusso della linfa e l’eventuale deficit idrico. I risultati hanno mostrato che le ondate di calore hanno avuto delle conseguenze in diversi processi per tutto il periodo di osservazione, sia a livello di albero che di ecosistema.
Ma è stato soprattutto nel 2017 che si sono registrati impatti più significativi. La stagione del 2017 è stata infatti caratterizzata da più gravi eventi di siccità e dal deficit idrico più significativo degli anni di studio. Le conseguenze sono state evidenti in una riduzione del 17 per cento della crescita del fusto del larice e in una contrazione del 45 per cento del suo periodo di crescita.
«Nel nostro lavoro è stato utilizzato un approccio multidisciplinare che unisce misure dettagliate a livello di singolo albero, con informazioni integrate alla scala dell’intero ecosistema, per la prima volta applicato al Larice» commenta la dottoressa Marta Galvagno di ARPA Valle d’Aosta. «Questo ci ha permesso di osservare che, nonostante le strategie messe in atto dal larice per rispondere alle variazioni climatiche, quando un’ondata di calore e siccità avviene nelle fasi iniziali della stagione (inizio giugno), si può avere una riduzione dell’accrescimento legnoso del 20%, anche a 2000 metri di quota».
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