Investire nel gas è un controsenso: focus sulla situazione dell’Africa
Puntare oggi sul gas potrebbe impedirci di raggiungere gli obiettivi climatici, e quindi farebbe sfumare le ultime poche chance che abbiamo per frenare il riscaldamento del Pianeta entro una soglia per noi tollerabile. Non dovremmo più investire in una forma di energia del genere.
Tutti gli obiettivi climatici che abbiamo sottoscritto con l’Accordo di Parigi prevedono una riduzione della produzione di energia da gas “unabated“, ossia le cui emissioni non vengono abbattute attraverso tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio. Dovrebbe scomparire entro il 2050, e in alcuni Paesi anche prima. Investire oggi nel gas, significa impegnarsi in campagne esplorative e nella produzione, ma la domanda di questo combustibile dovrebbe diminuire a livello globale tra il 21 e il 61% entro metà secolo.
Eppure, se continuiamo così, l’uso di combustibili fossili aumenterà e, a trainare la crescita sarà proprio il gas, responsabile da solo del 70% dell’aumento complessivo di emissioni di CO2 stimate per il 2030.
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L’Africa continua ad investire nel gas naturale
Molte parti del Mondo hanno deciso di espandere in modo significativo la produzione e il consumo di gas, e tra queste c’è anche l’Africa. Da qui arriverà il gas che l’Italia ha deciso di importare per ridurre e quindi dire addio al gas russo.
In Africa si trova quasi il 9% delle riserve mondiali di gas, e qui si registra circa il 6% della produzione globale. In Nigeria ha sede il 32% delle riserve africane di gas, in Algeria il 25%.
L’Egitto è responsabile di oltre un terzo del consumo di gas naturale in Africa, e la maggior parte (quasi il 70%) viene utilizzata per la produzione di elettricità. Il governo si sta impegnando in nuovi progetti per espandere ulteriormente l’uso del gas in molti settori, anche se dalle rinnovabili potrebbe trarre molti vantaggi, tra cui la creazione di nuovi posti di lavoro. Come sottolinea Climate Action Tracker nella sua ultima analisi, se l’Egitto investisse nelle rinnovabili per il settore dell’energia (arrivando all’82% nel 2030) potrebbe creare 1,8 milioni di posti di lavoro aggiuntivi al 2035rispetto alla strategia attuale. Oltre a questo, potrebbe ridurre i decessi legati all’inquinamento atmosferico (di circa 5300 entro il 2035).
Le infrastrutture legate al gas in uso oggi – si legge nel report – sono già sufficienti per coprire le richieste. Ogni nuovo investimento, ogni nuova struttura potrebbe diventare facilmente uno “stranded asset“, ossia un investimento destinato a perdere completamente di valore.
Il mondo dovrebbe presto abbandonare ogni combustibile fossile, allora perché investire ancora nel gas? Perpetuare in questa direzione è un gioco rischioso da ogni punto di vista. Innanzitutto sul fronte climatico: sappiamo bene che dobbiamo ridurre le nostre emissioni il prima possibile. Dobbiamo emettere meno. Punto. Non possiamo permetterci di compensare in un secondo momento.
In secondo luogo è rischioso per il mercato del lavoro: purtroppo non ci sono prospettive rosee per chi lavora nel mercato dei combustibili fossili. Entro metà secolo, in uno scenario climatico ottimistico, si prevede un calo dell’occupazione del 75% in questo settore. Ma non è tutto: l’intero mercato subirà effetti negativi. Sfruttare petrolio e gas è controproducente.
Perché allora non decidiamo di investire nelle tecnologie che ci permetteranno di vincere la crisi climatica? L’Africa ha grandissime risorse nel settore dell’energie rinnovabile. Potrebbe rispondere tranquillamente con le rinnovabili all’aumento della domanda di energia interna, e potrebbe anche esportarla. Fotovoltaico ed eolico sono già le forme di energia più economiche.
Per tutti questi motivi è fondamentale fermare ogni tipo di investimento nel gas. «Bisogna fermare urgentemente – spiega Climate Action Tracker – ogni investimento di Nazioni, Compagnie internazionali e Istituzioni finanziarie multilaterali nei combustibili fossili in tutto il Mondo. I Paesi più sviluppati devono aiutare quelli in via di sviluppo a compiere la transizione energetica e ad intensificare la finanza climatica internazionale».