Crisi climatica, venti Paesi ad alto rischio chiedono un condono dei debiti
Le cifre condonate verrebbero investite in progetti sul clima
La giustizia climatica è una delle istanze fondamentali di questo momento storico e l’azione di venti tra i Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici potrebbe imprimere una svolta. Questi Paesi, infatti, stanno valutando la possibilità di sospendere il rimborso di 685 miliardi di dollari di debito collettivo, in nome di una presunta “ingiustizia”.
Lo ha affermato nei giorni scorsi al New York Times Mohamad Nasheed, ex presidente delle Maldive, uno dei luoghi del Pianeta ad alto rischio per l’innalzamento del livello dei mari, uno degli effetti più evidenti della crisi climatica in atto.
Secondo Nasheed le nazioni povere sono in una sorta di trappola: devono prendere in prestito denaro per scongiurare l’innalzamento dei mari e gli effetti delle tempeste sempre più violente, ma quello che hanno in cambio è solo un aggravamento dei disastri amplificati dai cambiamenti climatici. Il debito rimane, e aumenta, mentre le misure contro la crisi climatica sono inefficienti e inadeguate.
Climate change shocks and disasters have already eliminated USD525 billion (1/5) from V20 economies in the past 20 years, according to research commissioned by the Group https://t.co/N0L7U66UPe #IMFmeetings
— V20 Group of Finance Ministers (@V20Group) October 17, 2022
Secondo la Banca Mondiale, il 58% dei Paesi più poveri del mondo è a rischio o è in grossa difficoltà sul debito. Allo stesso tempo, il fabbisogno di un risarcimento climatico per i paesi vulnerabili è stimato in uno studio tra i 290 e i 580 miliardi all’anno entro il 2030. La crisi climatica è dunque anche una crisi del debito. Le economie dei Paesi più vulnerabili sarebbero oggi del 20% più ricche se non avessero subito il bilancio quotidiano della perdita e dei danni climatici. Si tratta di mezzo trilione di perdite e, per i paesi più a rischio, le perdite economiche superano la metà di tutta la crescita generata a partire dal 2000. Per le economie più a rischio, la perdita supera la crescita totale.
La giustizia climatica e le misure per attuarla saranno uno dei temi cardine della COP27 in programma tra poche settimane a Sharm el Sheikh, in Egitto: le nazioni ricche, maggiormente responsabili delle emissioni di anidride carbonica climalteranti, dovrebbero compensare i paesi poveri che stanno subendo gli impatti peggiori del cambiamento climatico.
Giustizia climatica: a quando un fondo internazionale di risarcimento?
Diversi Paesi in via di sviluppo stanno facendo pressioni affinchè venga creato creazione un fondo internazionale che li risarcisca per le perdite e i danni causati dai cambiamenti climatici.
Se i debiti dovuti dai Paesi più poveri venissero tagliati del 30% e quei soldi fossero invece investiti in progetti come il miglioramento dei sistemi idrici o la conservazione delle foreste di mangrovie che proteggono le coste dagli uragani, ciò “avrebbe un impatto enorme”, ha affermato Nasheed.
I soldi destinati all’adattamento non sono stati fino ad oggi sufficienti e non sono stati ottenuti passi in avanti in questo senso. L’impegno preso da parte dei Paesi più ricchi di fornire a quelli più poveri 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 in finanziamenti per il clima non è stato ancora rispettato e la maggior parte del denaro è destinato a progetti di riduzione delle emissioni nei Paesi a reddito medio, piuttosto che aiutare i più poveri per adattarsi agli impatti climatici. Nel testo finale della conferenza delle Nazioni unite sul clima del 2009 (la COP15 di Copenaghen) era stato INFATTI raggiunto un accordo in base al quale i Paesi più ricchi avrebbero dovuto elargire, entro il 2020, cento miliardi di dollari l’anno per “soddisfare i bisogni” dei Paesi in via di sviluppo nel contrasto ai cambiamenti climatici.
Alla COP26 di Glasgow non ci sono stati significativi passi in avanti ed è emersa nel documento finale solo una sollecitazione affinchè i Paesi più sviluppati “rispettino pienamente l’obiettivo dei 100 miliardi di dollari con urgenza e fino al 2025”.