La fotografia che cattura la crisi climatica
Per una comunicazione efficace del riscaldamento globale non basta la scienza, serve qualcosa capace di mettere le persone al centro della crisi climatica, oltre le statistiche senza volto. Gideon Mendel ci riesce, con la fotografia.
“Sostengo che la fotografia possa essere sia una bella forma d’arte, sia uno strumento di impatto positivo nel mondo” così il fotografo Gideon Mendel, nato a Johannesburg nel 1959, accenna alla sua intenzione che “è sempre stata quella di sfidare i miei spettatori ad allargare i confini, traducendo questioni di interesse globale – come il cambiamento climatico – con un lavoro capace di evocare una risposta sentita”.
La scienza del cambiamento climatico, in effetti, non è sempre facile da comunicare. Nonostante gli impatti già pericolosamente evidenti, l’argomento può sembrare astratto e soprattutto intangibile, lontano nello spazio e anche nel tempo, dissonante rispetto alla nostra quotidianità. Ghiacci che fondono, acidificazione dei mari, crisi della biodiversità, desertificazione, migranti climatici, sembrano solo ombre di un problema che onestamente non percepiamo. E non percepiremo fino a quando questo problema non ci colpirà direttamente, con una alluvione, un black-out, una carestia o qualche altra calamità.
Qui ci poniamo due domande: come – chi si occupa di scienze del clima – può comunicare in modo più efficace? Quanto – chi legge, ascolta o vede – una notizia o un approfondimento sul cambiamento climatico può riuscire a percepirne il rischio?
Per una comunicazione efficace del rischio climatico
Alla prima domanda Mendel cerca di dare una risposta lanciando una “allarme visivo” sul riscaldamento globale e sui suoi impatti. Una sorta di “attivismo artistico” iniziato nel 2007 con la serie Drowning World, la sua personale risposta ai temi ambientali perché “c’erano molte immagini di ghiacciai e orsi polari, ma serviva qualcosa che fosse più viscerale e che colpisse le persone proprio in mezzo agli occhi, offrendo una profonda testimonianza dell’accaduto” qualcosa di percepibile. Per fare questo Mendel mette le persone al centro della crisi climatica essendosi reso conto, molto rapidamente, “di come i ritratti potessero esprimere vulnerabilità, perché c’era qualcosa di condiviso”.
Così, in uno dei progetti di Mendel, le persone guardano direttamente la telecamera con i piedi nell’acqua. Sembrano quasi dei classici ritratti di posa, eppure gli sguardi esprimono tutto tranne che neutralità. Scorrendo le foto si trovano persone sorprese o scioccate da ciò che ha devastato le loro vite, altre esprimono quasi un senso di familiarità con l’acqua. O forse è arresa?
“Il mio lavoro sul cambiamento climatico esiste in tre aree diverse e complementari: nei media; in musei e gallerie; ed è usato per la denuncia del cambiamento climatico durante i movimenti di protesta” spiega Mendel. In alcune occasioni accompagna i suoi ritratti con testimonianze: “È stata un’esperienza terribile, ma che ha unito la comunità”, in questo caso viene citata una vittima di una alluvione in America. Implicitamente si riceve la sensazione che solo insieme è possibile reagire al cambiamento climatico, tramite un linguaggio visivo dirompente che aumenta la consapevolezza con un disagio intimo.
Per un ascolto e una visione consapevole e responsabile delle scienze del clima
Ancora oggi c’è da chiedersi: come mai le informazioni (con qualsiasi mezzo vengano diffuse) sulla crisi climatica non si sono ancora trasformate in quella strategia di azioni capaci di risolvere, o per lo meno mitigare, questo problema globale? Le conoscenze sui rischi e le soluzioni climatiche ci sarebbero, ma ci sono anche delle barriere psicologiche – come la distanza, la dissonanza, la negazione – che rallentano le nostre reazioni (ne abbiamo parlato qui) e di cui è opportuno prendere coscienza, per poterle superare.
Ma c’è anche un altro aspetto, troppo spesso sottovalutato, che riguarda la difficile ambizione di comunicare il cambiamento climatico: è quello della responsabilità. Saper leggere, ascoltare, guardare le tante notizie che il mondo dell’informazione ci propone in modo responsabile e pienamente consapevole è tutt’altro che semplice. Possiamo essere imbrogliati, da noi stessi o da chi ci offre l’informazione che ci piace di più, inciampando ad esempio nella logica del Cherry Picking (ne abbiamo parlato qui) capace di inquinare il dibattito pubblico e scientifico.
A questo punto serve un patto di solidarietà tra chi comunica la scienza, chi si impegna con il proprio lavoro per amplificare la percezione del rischio (come il fotografo Mendel), e chi legge, ascolta e guarda con i propri occhi cosa sta accadendo al mondo e vuole capire davvero cosa significa essere delle persone al centro della crisi climatica.