Le grandi aziende dell’industria fossile stanno condannando l’Africa ad una dipendenza forzata dai combustibili fossili. Sono circa 200 le aziende che stanno facendo esplorazioni o sviluppi in terra africana per sfruttare nuovi giacimenti fossili di petrolio o gas, per costruire nuovi impianti di estrazione, nuovi condotti o terminali. E alle loro spalle ci sono anche grandi banche e investitori.
Secondo un report realizzato dall’organizzazione tedesca non profit per l’ambiente e i diritti umani Urgewald, sono 200 le compagnie che stanno espandendo il loro raggio d’azione nel mercato dei combustibili fossili in 48 dei 55 stati dell’Africa. Si tratta di progetti naturalmente incompatibili con gli obiettivi climatici internazionali e con l’Accordo di Parigi, progetti che inchiodano l’Africa ad un percorso obsoleto basato sul fossile.
La maggior parte di questi progetti è orientata verso le esportazioni e le imprese estere giocano spesso il ruolo principale. La canadese ReconAfrica, ad esempio, sta aprendo un’area di oltre 34.000 km quadrati per trivellazioni petrolifere nel fragile ecosistema del bacino del Kavango. La francese TotalEnergies sta sviluppando più risorse nuove di petrolio e gas nel continente rispetto a qualsiasi altra azienda.
Secondo una ricerca condotta da Oil Change International, le multinazionali straniere possiedono due terzi della nuova produzione di gas e petrolio prevista in Africa fino al 2050.
Lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi in Africa non ha portato altro che conflitti, instabilità, inquinamento, destabilizzazione ecologica ed economica nel continente. Dal 2017 ad oggi le licenze per l’esplorazione di nuovi giacimenti in Africa hanno coinvolto un’area superiore a quella ricoperta da Francia e Italia insieme. E mentre, proprio sul suolo africano si sta svolgendo COP27, sono 45 gli Stati in cui è stata autorizzata una nuova esplorazione da parte di 55 aziende.
Il Ghana è sull’orlo di difficoltà finanziarie dovute a contratti “take-or-pay“, che richiede al governo di pagare centinaia di milioni di dollari ogni anno per il gas inutilizzato. In Mozambico, enormi progetti GNL hanno esacerbato una rivolta nel Nord e non faranno nulla per il 70% della popolazione del Paese che non hanno accesso all’elettricità. In Nigeria, sei decenni dell’estrazione di combustibili fossili hanno trasformato il delta del Niger in uno dei luoghi più inquinati della terra e ne ha distrutto la salute e i mezzi di sussistenza comunità, mentre la metà della popolazione della Nigeria non ha ancora accesso all’elettricità. Lo sfruttamento dei Paesi più ricchi non ha fatto altro che impoverire ancora di più l’Africa, inquinarne i territori, violare i diritti umani delle popolazioni locali.
Giganti del petrolio esteri investono in nuovi progetti e nuovi giacimenti di petrolio e gas in Africa
L’Africa ha un potenziale di produzione di energia rinnovabile altissimo, stimato intorno al 39% del totale globale. Puntare sulle rinnovabili permetterebbe di garantire energia anche all’intero degli Stati africani, grazie alla loro versatilità, al basso costo e alla loro resistenza. La convenienza delle rinnovabili continua ad aumentare, mentre ogni altra fonte fossile sta diventando sempre più costosa. I vantaggi non finiscono qui: a parità di investimenti, le rinnovabili generano il triplo dei posti di lavoro creati dai combustibili fossili.
Eppure, nonostante gli impegni sottoscritti per fronteggiare l’aumento delle temperature, ridurre le emissioni e frenare il riscaldamento globale, molti attori internazionali hanno continuato ad investire nel fossile, specie in Africa. Il report di Urgewald fa il punto della situazione, analizzando lo stato di fatto in Africa e individuando i 200 responsabili dell’espansione dei progetti legati all’industria e all’energia fossile.
La società con spese di capitali più alte per l’esplorazione di petrolio e gas in Egitto dal 2020 è l’italiana Eni, seguita da BP dal Regno Unito e APA Corporation dagli Stati Uniti. In alcuni casi i giacimenti sono localizzati a profondità di 1500-2500 metri sotto il livello del mare, e quindi esposti ad un rischio molto elevato di incidenti.
Le compagnie del petrolio e del gas si stanno preparando ad aggiungere almeno un equivalente di 15,8 miliardi di barili di petrolio al loro portafoglio di produzione in Africa prima del 2030. Si tratta di estrazioni capaci di emettere in atmosfera 8 gigatonnellate di CO2 (GtC eq), più di due volte la quantità che l’UE emette ogni anno. L’espansione di questi nuovi progetti riguarda in particolare Mozambico, Nigeria, Algeria, Angola, Uganda, Libia e Mauritania. Chi è che sta investendo in questi progetti? Nella top20 dei progetti di espansione ci sono 13 aziende non africane: nella lista compaiono tutti i giganti del petrolio europei.
L’italiana Eni è uno dei principali produttori di petrolio e gas in Africa
Eni, il secondo produttore di petrolio e gas in Africa, ha acquistato il 59% della sua produzione di idrocarburi dall’Africa in 2021. Oggi le operazioni di Eni si estendono in 14 paesi africani e, dopo Sonatrach, è l’azienda con il punteggio più alto investimenti di esplorazione in Africa. Negli ultimi 3 anni Eni ha speso quasi 1,1 miliardi di dollari per l’esplorazione di nuovi giacimenti di petrolio e gas in Africa. La major italiana è anche il terzo sviluppatore di nuove risorse di petrolio e gas a monte nel continente. Eni prevede di aggiungere 1,32 miliardi di barili di petrolio equivalente al suo portafoglio di produzione in Africa nei prossimi anni, generando emissioni di carbonio due volte più alte di quelle annuali dell’Italia.
Eni e il governo egiziano hanno cercato di fare greenwashing, annunciando progetti per l’assorbimento di carbonio in vista della COP27. L’azienda italiana ha annunciato di voler raggiungere il “net zero” entro il 2050, ma ad oggi le azioni valgono più delle parole e secondo gli esperti non riusciranno ad allinearsi con gli obiettivi climatici perché gli investimenti e le strategie sono praticamente incompatibili con l’obiettivo degli 1,5 gradi.
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