Italia maglia nera d’Europa per le piste ciclabili. La proposta per la legge di bilancio 2023
Il dossier "L’Italia non è un paese per bici" ha portato alla luce quanto siamo indietro sul piano della ciclabilità
Clean Cities, FIAB, Kyoto Club e Legambiente hanno realizzato il dossier “L’Italia non è un paese per bici” per fare capire come alle città italiane servano 16.000 km di ciclabili in più rispetto al 2020, per un totale di 21.000 km al 2030 per colmare la differenza con il resto d’Europa. La proposta delle organizzazioni rivolta al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e al nuovo Parlamento è quella di integrare il Piano Generale della Mobilità Ciclistica, approvando una strategia di investimenti per la ciclabilità nella prossima legge di bilancio 2023, con uno stanziamento di 500 milioni di euro l’anno fino al 2030. L’Italia purtroppo si conferma la maglia nera dell’Europa: secondo i dati Istat le nostre città hanno una media di 2,8 km di ciclabili per 10.000 abitanti, con forti disparità territoriali: da zero km in molti capoluoghi del Centro-Sud a 12-15 km di Modena, Ferrara, Reggio Emilia. Una città come Helsinki ha di media 20 km ogni 10.000, Amsterdam 14 e Copenaghen 8 km.
In base ai dati pubblicati, l’Italia investe nell’auto quasi 100 volte più che nella bici: 98 miliardi di euro per il settore automobilistico e le infrastrutture stradali contro poco più di un miliardo per bonus bici e ciclabili urbane ed extraurbane. Raffaele Di Marcello, Consigliere di Presidenza della Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta, l’organizzazione ambientalista che promuove l’uso quotidiano della bicicletta e il cicloturismo per proteggere l’ambiente e contrastare la crisi climatica, ha dichiarato: “La situazione infrastrutturale delle nostre città, per quanto riguarda i percorsi ciclabili, è ancora da migliorare. Poche piste ciclabili, spesso non collegate tra loro, mancanza di una visione che metta insieme pianificazione urbanistica e mobilità sostenibile, rendono difficile, spesso impossibile, utilizzare la bicicletta come mezzo alternativo all’automobile. Il recente Piano Generale della Mobilità Ciclistica ha ribadito la possibilità di usare altre tipologie di percorsi, oltre alle piste ciclabili, e le indicazioni contenute nel report, se attuate, possono aiutare a colmare le carenze che il nostro Paese ha accumulato negli anni, con l’obiettivo di passare, a breve, dalle piste ciclabili a città a misura di ciclisti“.
Abbiamo avuto la possibilità di intervistare Claudio Magliulo, responsabile italiano della campagna Clean Cities, una coalizione europea di oltre 60 ONG, associazioni ambientaliste, laboratori di idee, movimenti di base e organizzazioni della società civile che ha come obiettivo una mobilità urbana a zero emissioni entro il 2030. Di seguito domande e risposte
Italia maglia nera d’Europa nelle piste ciclabili; secondo lei perché fino ad oggi c’è stato così poco interesse nella cura e nella creazione di questi percorsi?
L’Italia è il Paese con il più alto numero di automobili per abitanti. Ci sono città come Roma in cui si registrano più veicoli a motore che patenti. L’incontrastato dominio dell’automobile privata non è un incidente di percorso, ma di decenni di investimenti e sviluppo legislativo a senso unico. Nel nostro dossier “Non è un paese per bici” calcoliamo che al momento, solo per gli anni 2020-2030 sono stati stanziati quasi 100 miliardi di euro per il comparto auto e poco più di un miliardo per la bici, di cui meno della metà per rendere le nostre città ciclabili.
Insomma, lo scarso interesse per lo sviluppo della ciclabilità è una conseguenza inevitabile del modo in cui abbiamo immaginato e continuiamo a immaginare come muoverci e i luoghi in cui viviamo e lavoriamo.
Come ci si può impegnare per colmare le forti disparità tra Nord e Sud?
Secondo le nostre analisi, nelle città dell’Emilia-Romagna ci sono tre volte i chilometri ciclabili di tutte le città del Sud e delle Isole. Per evitare che il Sud resti indietro anche sul tema della ciclabilità servono almeno tre cose:
-una struttura tecnica centrale, idealmente a livello ministeriale, che coordini l’implementazione del Piano Generale per la Mobilità Ciclistica e assista i comuni con minori competenze interne nella fase di studio e progettazione dei percorsi ciclabili
-risorse: secondo i nostri calcoli per rendere tutte le città capoluogo italiane ciclabili come Amsterdam o Reggio Emilia servono poco più di 3 miliardi di euro in totale, l’equivalente di quanto lo Stato spende in tre mesi per abbassare un pochino il prezzo di diesel e benzina
-servizi per chi usa la bicicletta: non solo bike sharing, ma anche parcheggi sicuri in strada per le biciclette e integrazione con le reti di trasporto pubblico e ferroviario
La bici potrebbe essere il mezzo del futuro? Come si può sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica?
Siamo nel pieno di una crisi climatica che impone una rapida decarbonizzazione dei trasporti. Siamo anche il Paese con la peggiore qualità dell’aria d’Europa, come confermato anche dall’ultimo aggiornamento dell’Agenzia Europea dell’Ambiente. Il futuro della mobilità sarà a zero emissioni, modulare, condiviso e collettivo. La bicicletta rimane il mezzo più efficiente per moltiplicare la forza dei nostri muscoli e arrivare quasi ovunque: è leggera, non occupa molto spazio, costa poco. L’opinione pubblica è già d’accordo con noi. Il problema sono le minoranze molto rumorose di chi non vorrebbe cambiare nulla per non rinunciare a qualche piccola comodità e a molti privilegi. Ma facilitare l’uso della bicicletta non è solo una misura climatica e ambientale; è anche una questione di giustizia sociale. Anche chi oggi è costretto a muoversi in macchina deve avere accesso a un ventaglio di opzioni di mobilità e non dipendere solo dal più costoso, inquinante e pericoloso (per la propria incolumità e quella altrui) di tutti.
Pensa riusciremo a raggiungere i traguardi fissati nell’Agenda ONU 2030?
Gli obiettivi di sviluppo sostenibile ONU sono sicuramente raggiungibili. Anzi, ogni proposta e posizione politica andrebbe valutata attraverso la lente di quei 17 obiettivi. Quello che ancora manca, almeno per ora, è una diffusa consapevolezza dell’entità delle sfide che abbiamo di fronte, a partire dalla cosiddetta classe dirigente del Paese, ma anche della sconcertante e preoccupante capacità d’influenza delle tante lobby che antepongono i propri interessi e profitti alla vita di tutti noi e ai fragili equilibri del Pianeta. La buona notizia è che siamo già in grado di immaginare un futuro più equo, sostenibile e prospero per tutti. Strade più sicure e vitali, città più sane, vite in cui non si resta imbottigliati un’ora in tangenziale ogni giorno e si spende invece più tempo con i propri cari e a coltivare i propri interessi.