Salvaguardare la biodiversità significa proteggere il nostro futuro: COP15 ai blocchi di partenza
Dopo due anni di ritardo sulla tabella di marcia e dopo 4 anni dall’ultima edizione, dal 7 al 19 dicembre 22 a Montreal si svolge la COP15 la Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sulla Biodiversità. É un appuntamento cruciale non solo per frenare e invertire il processo di perdita della biodiversità, ma anche per ristabilire l’equilibrio del rapporto uomo-natura. La sopravvivenza delle specie animali e vegetali non può non riguardare anche noi e la nostra sopravvivenza su questo Pianeta. Oggi per fortuna la consapevolezza di questa profonda interconnessione è più chiara e lampante. Siamo chiamati a intraprendere azioni significative in ogni ambito della nostra società. Così come non possiamo permetterci passi falsi in ambito climatico, è fondamentale proteggere la natura. Ogni ulteriore ritardo ci costerà caro.
La speranza di molti quindi è riposta su questa due settimane di negoziati, in cui parteciperanno decisori politici, investitori, aziende e popolazioni indigene. Si tratta dell’unica chance del decennio per invertire la perdita di biodiversità. Dall’accordo che si spera verrà raggiunto al termine della COP15, dovranno poi essere integrate una serie di misure a livello globale e nazionale per salvare la natura. Tra le proposte c’è anche quella del 30 x 30, ossia proteggere il 30% di terre emerse e oceani entro il 2030. Senza un impegno concreto da parte dei decisori politici, degli investitori, dei legislatori sia alla COP15 che nelle settimane e mesi successivi, non avremo alcuna chance di poter invertire la rotta.
Biodiversità, ultima chiamata? A dicembre l’incontro per un nuovo accordo globale |
Dalla COP15 serve un piano concreto per invertire la perdita di biodiversità
“Abbiamo una responsabilità morale nel garantire che questo meraviglioso Pianeta, la nostra casa, rimanga sicura e abitabile nel presente e per le generazioni future”, ha affermato all’incontro stampa tenuto da GSCC Network Elizabeth Wanjiru Wathuti, attivista keniota per l’ambiente e il clima, fondatrice della Green Generation Initiative. “Gli scienziati ci stanno avvertendo da decenni: stiamo facendo crollare il nostro sistema di supporto vitale, distruggendo il mondo, la diversità e il sistema che la natura fornisce. Ciò a cui questo porta alla fine è un’immensa sofferenza, a cui ho assistito personalmente e che non potrò mai dimenticare. Ho personalmente avuto esperienza di cosa vuol dire aver spinto gli ecosistemi naturali oltre il punto di rottura. E so bene che sono sempre i più poveri ad essere i più colpiti. Un futuro legato alla biodiversità, un clima stabile, aria pulita, acqua pulita e sicurezza alimentare per tutti è possibile. La cooperazione internazionale e la solidarietà sono l’unico modo per raggiungerlo. Ciò che serve ora è il coraggio e un’azione urgente da parte di ciascuno di noi per cambiare rotta ora che ancora possiamo farlo, e questo deve nascere dalla compassione e dal rispetto per noi stessi e per tutta la vita sulla Terra”.
Secondo Ruth Davis, botanica ed figura di spicco dei movimenti ambientalisti, esponente di Greenpeace e della Royal Society per la protezione degli uccelli, “ci sono alcuni segnali di progresso e di speranza che stanno emergendo nell’economia in generale. Potremmo essere in grado di passare da un approccio estrattivo a uno più riparatore, rispetto al modo in cui gestiamo l’economia e il business globale”. “Ma sicuramente ciò che risulterà dalla COP15 sarà fondamentale per accelerare il progresso”. “Le autorità di regolamentazione finanziaria, gli investitori e le imprese stanno ora iniziando a comprendere le specificità assolute dei rischi che devono affrontare le loro attività e i loro investimenti a causa dei danni alla natura”. “Le città di Rio de Janeiro e Sao Paulo, ad esempio, dipendono per il 45% dall’acqua dolce proveniente dall’Amazzonia, e la deforestazione mette a rischio la loro disponibilità idrica. Non è più un rischio teoretico, ma reale; che tu sia un commerciante, una grande città, un agricoltore o un investitore.” E i soggetti stanno iniziando a prendere misure in merito, per proteggere l’ambiente, e di riflesso la stabilità dei sistemi sociali e finanziari.
“La COP15 è un’opportunità unica per proteggere il Pianeta e salvarlo”, ha commentato Shuo Li, global policy adviser per Greenpeace Cina. “Non c’è spazio per rimandare, serve un’azione immediata alla COP15. Speriamo in un accordo, speriamo che sia l’accordo sul 30×30 minimo, speriamo in un accordo sugli indigeni. Tutte le nazioni devono adottare misure per tradurre gli obiettivi climatici fissati a livello internazionale, a livello nazionale. Ci aspettiamo che la finanza abbia una rilevanza importante. Dovrebbero essere destinati dai Paesi più ricchi almeno 100 miliardi di dollari ai Paesi in Via di Sviluppo ogni anno. Sarà una COP15 impegnativa, ad alta pressione. C’è bisogno di una leadership concreta, dal Canada, dalla Cina e dagli altri Paesi Membri. Al momento non c’è stato un progresso soddisfacente, per questo serve un piano concreto e un’azione collettiva. Chiediamo chiarezza”.
“Siamo in crisi”, ha dichiarato Charmian Love, direttore advocacy globale per la B-Corp più grande a livello globale, Natura and Co, e insegnante alla Oxford University. “Due dei tre più grandi rischi per la nostra economia sono legati alla perdita di natura del prossimo decennio. Dobbiamo assicurarci un percorso ambizioso in questa COP15, dobbiamo accelerare questa azione e trasformare le nostre economie e i nostri sistemi finanziari in sistemi equi, nature positive, e net zero.” “Il nostro futuro sarà definito dalla nostra capacità di creare una crescita sostenibile e nuovi posti di lavoro. Dobbiamo essere coraggiosi, ed è possibile. L’inazione non è un’opzione. Senza un’azione concreta dovremo affrontare costi molto più alti”.
“Così, Natura and Co, insieme a molte altre aziende che hanno compreso che il successo futuro del successo dipende dalla conservazione del mondo naturale, andremo alla COP15 con 3 richieste molto chiare per i negoziatori. Innanzitutto l’adozione dell’obiettivo 15, che invita i governi ad adottare requisiti obbligatori per tutte le grandi imprese e le istituzioni finanziarie per misurare e rendere noti i propri impatti e la propria dipendenza dalla biodiversità entro il 2030. Non c’è spazio per azioni volontarie. La seconda cosa che chiediamo è aumentare l’ambizione sull’obiettivo 18. Si tratta di riformare, reindirizzare o eliminare i sussidi dannosi per la biodiversità e di creare incentivi positivi crescenti per coloro che lavorano per fermare e invertire la rotta della perdita di natura. Infine, dobbiamo adottare un obiettivo globale per la natura, una missione chiara a cui tutti possiamo allinearci: ossia dimezzare e invertire la perdita di biodiversità entro il 2030. Il tempo scorre. Questo è IL momento, il momento in cui decidiamo da che parte della storia vogliamo stare”.
Obiettivo 30×30: le popolazioni indigene devono essere messe al centro della salvaguardia della natura
Alla COP15 verrà dato largo spazio – si spera – agli indigeni, che hanno già un ruolo cruciale per la salvaguardia dell’ambiente e che vorrebbero diventare attori principali, protagonisti, di un approccio globale volto alla protezione della biodiversità. Gli indigeni già proteggono l’80% della biodiversità a livello globale.
“Non possiamo sempre rimandare il problema ” spiega l’attivista e geologa Hindou Oumarou Ibrahim, co-presidente del forum internazionale delle popolazioni indigene sul cambiamento climatico. “Serve un’azione. Gli indigeni che vivono nelle foreste e nelle zone protette del Mondo devono diventare decisori. Quando parliamo di Natura, parliamo anche di milioni di persone che ci vivono, che la curano. La natura è il nostro rifugio. Chi ha causato la perdita di biodiversità deve pagare, e dare accesso diretto ai fondi agli indigeni. Ed infine, sempre a loro, chiediamo non solo di riconoscere le abilità nella cura della natura, ma anche dei diritti degli indigeni. Il riconoscimento del nostro sapere deve andare di pari passo con il riconoscimento dei nostri diritti”.
“Crisi climatica e natura sono collegate, non si può separare l’uno dall’altro. Uno e l’altro si combinano e agiscono insieme. Gli obiettivi di Clima e Biodiversità non sono ancora allineati nel proteggere le specie e combattere l’impatto del cambiamento climatico. Abbiamo bisogno di una maggiore integrazione della protezione della natura nel clima e di una maggiore riduzione delle emissioni e accelerazione dell’adattamento naturale delle specie nella biodiversità. C’è bisogno di lavorare insieme a livello nazionale e a livello di convenzione”, ha sottolineato Ibrahim.
“Negli ultimi 20 anni oltre il 90% delle aree protette del Canada è stato gestito, o co-gestito, da indigeni”, ha detto Valerie Courtois, direttrice dell’”Indigenous Leadership initiative”, movimento degli indigeni canadese, consulente forestale per l’assemblea delle prime nazioni del Quebec e del Labrador. “La comunità globale che cerca di proteggere il 30% delle terre e delle acque, in qualche modo sta raggiungendo le ambizioni indigene di conservazione. Nella nostra esperienza, quando gli indigeni tengono in mano la penna, la percentuale di conservazione delle zone protette tende a ruotare intorno al 50 o 60 per cento. Perché capiamo che la nostra stessa sopravvivenza dipende dalla salute di questi paesaggi. Terre sane significano persone sane. Sappiamo che se ci prendiamo cura della natura, lei si prende cura di noi”.