Trattato sulla plastica, ai negoziati timidi passi avanti: forte l’influenza delle lobby fossili
Nei giorni scorsi, a Parigi, si sono svolti dei negoziati organizzati dalle Nazioni Unite con l’obiettivo di fare passi avanti verso un Trattato globale sulla plastica.
Quello francese è stato il secondo di cinque vertici intermedi che dovranno traghettare le nazioni fino all’approvazione del trattato, prevista entro il 2024, per ridurre l’impatto della plastica sull’ambiente (e sui nostri corpi).
Se verrà raggiunto l’accordo per un trattato legalmente vincolante, secondo gli esperti si tratterà di una svolta decisiva, paragonabile a quella che l’accordo di Parigi ha rappresentato per il clima.
Al momento, però, la strada si profila ancora decisamente lunga e complessa, principalmente per gli enormi interessi economici e geopolitici in gioco.
Durante le ultime trattative, infatti, di passi avanti concreti se ne sono visti pochissimi, mentre a emergere in modo molto chiaro sono state le forti divisioni tra i paesi e le pesanti pressioni esercitate dalle aziende del settore.
Tra delegazioni degli Stati membri e osservatori della società civile, più di 1.700 persone hanno preso parte ai lavori, che si sono chiusi a inizio giugno con l’impegno di preparare una prima bozza dell’accordo entro la prossima sessione, in programma a novembre a Nairobi, in Kenya.
Trattato sulla plastica: di cosa si è parlato a Parigi
Secondo il programma, i cinque giorni di negoziati avrebbero dovuto permettere di affrontare tematiche molto concrete, legate alla produzione e allo smaltimento della plastica, con l’obiettivo finale di stilare già una prima bozza del trattato e permettere al prossimo round di colloqui in Kenya di fare passi avanti più significativi.
Oltre metà del tempo a disposizione, però, ha visto i lavori sostanzialmente bloccati da un lungo stallo che per i primi tre giorni ha portato i delegati a focalizzarsi sulle procedure di voto da adottare per preparare e approvare il trattato sulla plastica.
A rallentare il dibattito sono stati principalmente i paesi ricchi di petrolio, come l’Arabia Saudita e il Brasile, oltre ad alcune delle nazioni che utilizzano più plastica, come la Cina e l’India. La proposta di queste nazioni prevedeva di dotare i paesi di potere di veto nelle votazioni, mentre secondo altri sarebbe necessario un sistema di approvazione basato su una maggioranza di due terzi.
Secondo quanto riferisce Politico, un funzionario di un paese della High Ambition Coalition – che comprende l’Unione Europea, il Canada, l’Australia, il Cile e il Messico – ha accusato le nazioni coinvolte di aver volutamente «fatto saltare in aria» i colloqui di Parigi e di aver guidato una resistenza «coordinata».
Il terzo giorno, dopo alcuni momenti di tensione, pur di procedere su altre tematiche si è di fatto lasciata irrisolta la questione, con un compromesso che ha rinviato queste discussioni procedurali a una data successiva.
Il tempo rimasto per dedicarsi a tematiche più concrete, alla fine, è stato poco. Tuttavia, c’è stata una concordia piuttosto ampia sugli elementi chiave che il trattato sulla plastica dovrebbe contenere.
In particolare, è emersa la necessità di gestire l’inquinamento delle microplastiche, che ormai sono state rinvenute in ogni angolo del pianeta e perfino nell’organismo umano, con conseguenze ancora ignote sulla nostra salute.
Le parti interessate hanno anche chiesto una regolamentazione per le migliaia di sostanze chimiche pericolose che vengono utilizzate nella plastica, e la creazione di un meccanismo finanziario per sostenere la transizione e proteggere i diritti delle persone esposte in modo sproporzionato all’inquinamento legato alla plastica.
La maggior parte dei paesi che hanno preso parte al vertice ha concordato anche sull’importanza di fermare l’utilizzo di PFAS, sostanze estremamente persistenti nell’ambiente e nell’organismo degli esseri umani, dove accumulandosi possono avere effetti negativi sulla salute. Si tratta di sostanze presenti in abbondanza anche in diverse zone d’Italia.
Tra i temi chiave e più divisivi, anche la necessità di limitare la produzione di plastica. Alcune nazioni stanno infatti facendo pressione perché il trattato si concentri sulla gestione dei rifiuti e incentivi il riciclo della plastica, che tuttavia ha dimostrato di essere una soluzione poco efficace per contrastare seriamente l’inquinamento. Altri paesi chiedono quindi misure più ambiziose, facendo emergere l’esigenza di porre un limite alla produzione stessa della plastica.
«Il tempo sta per scadere, ed è chiaro che i paesi produttori produttori di petrolio e l’industria dei combustibili fossili faranno di tutto per indebolire il trattato e ritardare il processo», ha commentato il responsabile della campagna Global Plastics di Greenpeace USA, Graham Forbes.
«L’inquinamento da plastica e la crisi climatica sono due facce della stessa medaglia. Il Trattato globale sulla plastica deve affrontare la produzione di plastica in modo diretto. Questo si allineerà con la necessità di rimanere entro 1,5°C (di riscaldamento rispetto all’era preindustriale, ndr) e di allontanare il mondo dalla sua dipendenza dalla plastica».