Neve abbondante sulle Alpi, nel 2024 colmato il deficit nazionale
Per la prima volta da più di 2 anni, la quantità di acqua stoccata nella neve ad aprile è in leggero surplus. Grandi però le differenze tra le diverse quote e tra Alpi e Appennino
Le abbondanti precipitazioni ricevute tra febbraio e marzo 2024, mese record per la pioggia caduta al Nord-Ovest, hanno fatto sì che sulle Alpi arrivasse finalmente una grande quantità di neve, che ora registra addirittura un surplus rispetto alla media degli ultimi 12 anni.
A fine inverno 2024 neve abbondante sulle Alpi: finalmente colmato il deficit nazionale
Il deficit invernale è stato colmato dalle abbondanti nevicate sulle Alpi, specie alle quote più elevate. Dopo i trend negativi registrati negli ultimi inverni, finalmente la stagione 2023-2024 ha visto l’arrivo di tanta neve in montagna. L’ultimo monitoraggio di Fondazione CIMA indica infatti che il deficit nazionale si è azzerato, con anzi un leggero surplus dell’1%, il primo in due anni di osservazioni per questo periodo dell’anno.
Sulle Alpi, tuttavia, la situazione non è omogenea: si osserva infatti molta neve a quote alte (oltre i 1800-2000 metri di quota), mentre poca al di sotto. Lo Snow Water Equivalent (SWE) – indicatore dell’acqua contenuta nella neve – è infatti positivo a quote elevate, mentre resta in deficit a quote medio-basse. «È come se ci fossero due inverni allo stesso tempo: uno nevoso in quota, e uno avaro di neve a quote medio-basse», commenta Francesco Avanzi, idrologo di Fondazione CIMA.
Ci sono anche grandi differenze con la situazione sull’Appennino, che a differenza dell’arco alpino, ha ricevuto ben poca neve. Nonostante, infatti, le numerose perturbazioni arrivate a marzo sull’Italia (14 in totale), sugli Appennini la neve non è arrivata. Tutta colpa delle temperature che si sono mantenute oltre la norma, impedendo accumuli di neve. «Sugli Appennini, le temperature si sono mantenute elevate per tutta la stagione invernale: in marzo, per esempio, si sono registrati +2,5°C rispetto allo scorso decennio. Questo ha portato a una penuria di nevicate sugli Appennini, e alla fusione precoce di quella poca neve accumulatasi in quelle zone durante l’inverno», ha commentato Avanzi. Al Nord, invece, le temperature in marzo si sono mantenute più in linea con quelle dello scorso decennio. Così, le abbondanti precipitazioni di fine febbraio e di marzo hanno consentito un accumulo di neve come non ne registravamo da ormai due anni.
La differenza è netta, specie se si osservano i dati dei singoli bacini idrografici: sul Tevere si registra ancora un deficit del -80% rispetto al periodo storico, per l’Adige l’anomalia è appena del -4%, mentre il Po ha addirittura triplicato la sua risorsa idrica nivale da febbraio a oggi, lo SWE è al +29%.
La stagione è ormai chiusa. Storicamente, infatti, in Italia il picco d’accumulo della ricorsa nivale si registra a marzo, e ora siamo entrati nel periodo di fusione – quando, cioè, la neve inizia a diventare quell’acqua che alimenta i nostri fiumi e, con loro, tutte le attività che sfruttano questa risorsa, dall’agricoltura alla produzione di energia idroelettrica. «Questi ultimi dati registrati sulle Alpi sono senz’altro una buona notizia, anche perché evitano una situazione di criticità per il terzo anno di fila», conclude Avanzi. «Se e quanto l’acqua ora finalmente presente nel bacino del Po sotto forma di neve potrà sostenere i mesi primaverili ed estivi, però, dipende dalle temperature. I dati ci hanno mostrato un significativo incremento dello SWE tra l’inizio e la metà di marzo, che stava però per essere seguito da un rapido declino, interrotto solo dalle ulteriori nevicate in arrivo. In altre parole, le temperature elevate possono ancora causare, anche sulle Alpi, fusioni precoci: perché sia davvero utile nei periodi in cui l’acqua ci è più necessaria, la neve deve restare tale ancora per alcune settimane».