Cambiamento climatico e adattamento: alcune città hanno già affrontato il problema
È necessario che le città si preparino più di ogni altro ambiente al cambiamento climatico: le soluzioni finora trovate sono spesso inaspettate e creative
Attualmente oltre il 50% della popolazione mondiale vive in un centro urbano e le città generano l’80% del Pil planetario. Secondo le Nazioni Unite, nel 2050 l’urbanizzazione mondiale vedrà una crescita di 2,5 miliardi di persone: due terzi della popolazione, ossia più di 6 miliardi di esseri umani, abiteranno nei centri urbani (UN 2018 Revision of World Urbanization Prospects).
La costruzione e la crescita delle città sono quindi un problema di fondamentale importanza, soprattutto alla luce della sfida legata al cambiamento climatico: se la popolazione mondiale deve adottare uno stile di vita sostenibile, è necessario che le città siano tali da permetterlo.
Coloro che si occupano della crescita delle attuali città si stanno orientando sempre più verso soluzioni sostenibili: le città devono ridurre il proprio impatto ambientale, così da seguire una strategia di mitigazione, cioè di riduzione del proprio contributo alle cause del cambiamento climatico (ad esempio riduzione delle emissioni di gas serra). Questo, però, non è sufficiente: le città devono anche seguire una strategia di adattamento, preparandosi ad affrontare le conseguenze del nuovo clima. La crescita, in valore assoluto e in percentuale, della popolazione residente in una grande città porterà all’esposizione di una sempre maggiore quantità di persone alle catastrofi naturali che colpiranno quel particolare – e ristretto – territorio. Tali catastrofi, inoltre, non faranno che aumentare in numero ed intensità a causa del cambiamento climatico (si guardi ad esempio alla prevista crescita dell’intensità degli uragani che colpiranno la costa orientale del Nord America). Come far fronte, dunque, al pericolo derivante da ondate di calore, alluvioni o onde di marea causate dal passaggio di cicloni e tempeste?
Possiamo tentare di opporci alle furie della natura costruendo muri contro il mare o armandoci di potenti condizionatori. Oppure, possiamo decidere di adattarci sfruttando l’esempio che la natura ci dà, così come ci insegna la storia dell’evoluzione e la storia stessa del genere umano, che da sempre ha dovuto affrontare le condizioni climatiche più disparate.
Le città del sole
Già a partire dal 4000 B.C. (Hejazi, 2014), ma anche ai giorni nostri, nelle lande assolate dell’Iran, l’antica Persia, venivano costruite abitazioni la cui architettura permetteva, grazie ad alte torri forate alla sommità, le Torri del Vento, di incanalare vento fresco dall’alto verso i locali situati più in basso, più vicini all’ardere del rosso terreno sabbioso. Nelle città odierne, così ricche di tecnologia e di potenza – si pensi alla grande quantità di energia necessaria, in estate, per refrigerare le nostre case –, ancora tanto rimane da imparare da chi nei secoli ha dovuto adattarsi a vivere in climi molto più caldi e secchi del nostro, pur non disponendo dei mezzi che la società moderna ci offre.
Per sconfiggere il caldo, anche la sola scelta del colore di una vernice potrebbe essere decisiva: non è quindi necessario ripensare al design di ciascuna delle nostre case, aggiungendo, magari, una esotica Torre del Vento sulla sua sommità. Avete mai visto tetti neri nel deserto? Ovviamente la risposta è negativa: quando la temperatura esterna è circa 30°C, una casa con un tetto nero, che riflette solo il 20% della radiazione solare incidente, può raggiungere addirittura una temperatura interna di circa 46°C, contro i 27°C della stessa abitazione con tetto dipinto di bianco, che riflette invece l’85% della luce solare incidente. Questo banale accorgimento (la scelta di un colore!) permetterebbe di risparmiare fino al 40% della propria bolletta elettrica (i dati sono pubblicati dal progetto White Roof). Proprio sulla base di questi risultati, il progetto White Roof sta cercando di ridipingere, con l’aiuto di entusiasti volontari, i tetti di villette e grattacieli delle città statunitensi. In sostanza, è possibile ridurre i disagi delle sempre più frequenti ondate di calore estive con l’aiuto di un pennello, non di un condizionatore, risparmiando ed evitando di aggravare il problema.
Le città del mare
Non solo possiamo trarre ispirazione dalla tradizione, ma anche dalla natura stessa: invece di vederla solo come una minaccia, possiamo sfruttarne il potenziale. La parte occidentale dei Paesi Bassi ha un’altitudine inferiore al livello del mare ed è quindi particolarmente esposta al rischio di inondazioni, che si prevede siano sempre più probabili a seguito della fusione dei ghiacci artici e quindi dell’innalzamento del livello medio del mare. Ogni cinque anni tonnellate di sabbia devono essere trasportate sulle spiagge di queste terre per sopperire alla continua erosione delle dune operata dal mare, che lascia scoperte le località costiere in caso di inondazione. Si è così deciso di costruire una penisola di sabbia, detta “Motore di sabbia“, che, larga 2 km, si estende per 1 km verso il mare aperto. Le correnti marine lentamente rubano e spostano la sabbia della penisola. La sua posizione strategica fa sì che la sabbia rubata dal mare venga depositata sulle spiagge della regione, senza bisogno dell’intervento dell’uomo (Nolet and Riksen, 2019): la conoscenza della natura e dei suoi meccanismi ha così permesso di risparmiare tempo ed energia.
Allo stesso modo, a New York si sta cercando di rigenerare l’antico ecosistema della baia dell’Hudson, caratterizzato dalla presenza di grandi scogliere di ostriche (Billion Oyster Project): queste potrebbero infatti, una volta reintrodotte, non solo contribuire alla depurazione delle acque, ma anche costituire un’efficace barriera capace di far perdere energia alle onde di alta marea che minacciano la città durante il passaggio dei cicloni.
Le città della pioggia
La necessità di difenderci contro gli eventi meteorologici estremi può anche diventare occasione per innovare e rigenerare gli spazi urbani. Il pericolo di alluvioni, a Rotterdam, è stato affrontato creando nuovi luoghi di aggregazione e ricreazione: le piazze d’acqua. Piazza Benthemplein, situata in una delle zone a maggiore rischio allagamento di Rotterdam, presenta tre diversi bacini, adibiti, durante il periodo asciutto, ad attività quali lo sport o il teatro. Quando piove, invece, una complessa rete di canali e sistemi di depurazione trasporta l’acqua piovana dai tetti degli edifici circostanti e dalle strade verso questi bacini, che si trasformano così in piccoli laghi. In questo modo il sistema fognario non viene sovraccaricato, scongiurando il rischio di allagamento, e la pioggia diventa un’occasione per riconvertire il paesaggio urbano, tanto che queste pozze si trasformano spesso in occasione di gioco e svago per i più piccoli e, perché no, anche per gli adulti.
A Copenaghen, invece, è stato costruito un vero e proprio “quartiere resiliente” dove l’area dedicata alle auto è stata ridotta a favore di parchi costellati da piccole dune e collinette: la superficie di piazza San Kjeld è così raddoppiata e con essa è cresciuta la capacità del terreno di assorbire e trattenere l’acqua piovana, incanalandola in pittoreschi laghi e corsi d’acqua artificiali. Le piogge più intense non sono state solamente rese innocue, ma, addirittura, proficue.
Tutto questo ci insegna che il cambiamento climatico, se affrontato nella giusta maniera, può essere un’occasione di crescita e può attivare un circolo virtuoso da cui non potremo che trarre beneficio, sia come singoli, sia nelle nostre comunità. È necessaria piena consapevolezza del problema e volontà di innovare, senza paura dei cambiamenti necessari all’adattamento.