Decrescere? Terza parte. La costruzione di un modello alternativo
Un sistema economico sostenibile che accetti la verità dei costi produrrà inevitabilmente di meno in termini quantitativi, ma non necessariamente meno servizi, meno benessere e nemmeno meno lavoro
Nelle “puntate” precedenti (Decrescere? e Decrescere? parte seconda) è stato evidenziato come la crescita economica, almeno per come è stata declinata negli ultimi decenni, renda di fatto impossibile raggiungere gli obiettivi della salvaguardia del clima e degli ecosistemi. Abbiamo urgentemente bisogno di un modello alternativo, ma da dove partire? E come costruirlo?
Nel lontano 1968 Bob Kennedy, pochi mesi prima di essere assassinato, pronunciava un famoso e celebratissimo discorso (potete reperirlo facilmente nella rete) nel quale denunciava l’inadeguatezza del PIL come indicatore del benessere delle nazioni economicamente sviluppate. Il PIL, sosteneva, “misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.”. Riflettere su questo discorso profetico ci avvicina alla comprensione del problema e ci indica una strada: se tutto, in questo mondo, perfino la vita e la morte, è misurato in termini di denaro dato che non possiamo abolire il denaro, dovremmo cercare di fare delle misure più vere. Gli ambientalisti da tempo ci parlano della verità dei costi come di una delle strategie fondamentali per condurre il sistema economico su percorsi sostenibili in senso umano, sociale e ambientale. Il concetto è semplice e lo possiamo comprendere con un facile esempio: se un’impresa acquista una porzione di foresta per trasformarla in legname ai costi tradizionali dell’operazione (manodopera, macchinari, ecc) andranno sommati i costi ecologici che sono a carico della comunità, come ad esempio l’erosione del suolo, le perdite di carbonio, la perdita di biodiversità. Si noti che in molte situazioni simili a questa, mentre l’impresa oltre ai costi genera giustamente un ricavo, alla comunità restano solamente i primi. Fare progressi sulla verità dei costi (inclusi quelli sociali e umani) potrebbe aiutarci enormemente, ma non ci possiamo nascondere che si tratta di una sfida ardua: pensiamo alla difficoltà di assegnare un prezzo a “cose” come la biodiversità o a quella di farlo accettare al libero mercato globale (si veda, come ulteriore esempio, il pluridecennale dibattito sulla “carbon tax”).
Un sistema economico sostenibile (nel lungo termine, per definizione, l’unico possibile) che accetti la verità dei costi e metta da parte il mito della crescita infinita produrrà inevitabilmente di meno in termini quantitativi, ma non necessariamente meno servizi, meno benessere e nemmeno meno lavoro. I frequenti conflitti tra lavoro e difesa dell’ambiente, tra lavoro e salute (emblematico, per capirsi, un caso quale l’ILVA di Taranto) sembrano suggerirci che le cose non stiano così … forse difettiamo radicalmente di fantasia, fatichiamo a immaginare di fare cose diverse da quelle che abbiamo sempre fatto, forse non includiamo i costi veri? A dispetto di quanto ci viene raccontato sulla distruzione di posti di lavoro a causa dell’automazione e del progresso tecnologico, non solo esisteranno sempre mestieri che le macchine non potranno fare, ma perfino di più ne potremo creare abbandonando alcune fra le logiche più perverse dell’economia attuale, basata su sprechi, usa e getta, obsolescenza programmata, bisogni artificiali indotti e via dicendo. La situazione dell’edilizia è esemplare: si tratta di uno dei settori che, in Italia e non solo, ha maggiormente risentito della crisi globale con pesanti perdite occupazionali. In casi come questi la società e la politica possono reagire con metodi novecenteschi (quelli che hanno determinato un consumo di suolo intollerabile, la devastazione irreversibile del paesaggio di intere regioni come la Lombardia, la cementificazione di gran parte delle coste e di molte valli alpine) oppure in modo moderno e intelligente generando ugualmente molti posti di lavoro: il riferimento, naturalmente, è alla ristrutturazione o ricostruzione dei vecchi edifici rigenerando il tessuto urbano nel segno dell’efficienza energetica, nel rispetto del paesaggio e senza consumare un solo metro quadro di suolo in più. Possiamo cominciare oggi, basta volerlo. Oltre a progetti come quello (in Italia ciclopico) della rigenerazione urbana un’economia sostenibile porrà al centro la cosiddetta circolarità, di cui fortunatamente ormai si parla tanto e a tutti i livelli. Esempi? Ne vengono in mente a decine e non bisogna pensare solo al riciclaggio dei materiali: in alcuni ambiti, all’opposto del caso dell’edilizia, dovremo tornare al passato, ma non per nostalgia o paura del progresso. Prima ancora che riciclarli, ogni volta che sarà possibile, dovremo riparare e riutilizzare i nostri oggetti, come si faceva una volta; e anche in questo caso si creeranno o rinasceranno professioni dignitosissime e anche qualificate, se solo pensate a tutta la tecnologia che ci circonda.
Un sistema economico sostenibile dovrà diminuire drasticamente le emissioni clima alteranti generate dai trasporti delle persone e delle cose. Scriviamolo subito: le soluzioni a questo problema saranno forse fra quelle più difficili da accettare, non così facili come fare la raccolta differenziata. Come abbiamo osservato, avremo un’economia che produce meno merci rispetto a quella attuale e che di conseguenza dovrà movimentarne di meno, rendendo più facile ridurre le emissioni. Con riferimento al trasporto pubblico e in generale delle persone c’è poco da inventare: treni, tram e metropolitane sono già oggi elettrici e andranno fortemente potenziati. Ma, sempre oggi, sulle nostre autostrade viaggiano camion che trasportano acqua (dentro bottiglie di plastica!) dalle Alpi alla Sicilia … va da sé che follie come questa dovranno essere considerate per quello che sono: follie. Ma non basterà eliminare queste assurdità, perché, a meno di scoperte scientifiche rivoluzionarie ora non immaginabili, aerei, grandi navi portacontainer e mezzi di trasporto simili per funzionare avranno bisogno dei derivati del petrolio ancora per moltissimi anni. Un velivolo elettrico con batterie in grado di trasportare cento persone da Milano a New York? Fantascienza. Dovremo farcene una ragione, come si dice, e renderci conto (ricordiamo che la posta in gioco è la nostra stessa sopravvivenza) che occorrerà diminuire moltissimo i voli superflui, a partire da quelli turistici.
Potremmo proseguire a lungo con altri esempi: mitigare il cambiamento climatico chiama in causa quasi ogni aspetto della nostra vita, da come produciamo il cibo (anche il modo di coltivare i campi dovrà cambiare, quanto e come preleviamo il pesce dai mari) ai nostri stili vita, come ci nutriamo e ci vestiamo. Non abbiamo nemmeno citato un tema fondamentale, quello dell’equità (se nel futuro saranno necessari sacrifici sarà fondamentale che siano distribuiti equamente); per esplicita ammissione e ricerca della semplicità abbiamo messo da parte fin dall’inizio i mostruosi problemi posti dalla crescita della sovrappopolazione. Mi si permetta ugualmente di tentare una conclusione e di lasciarvi con alcune riflessioni, che magari potranno apparirvi poco scientifiche e più adatte a un simposio filosofico. Siamo partiti dalla domanda “decrescere?”, ma la parola scomoda e terribile, “decrescita” non è stata mai usata. In fondo non è stato necessario: l’economista inglese Kate Raworth (*), studiosa delle tematiche della sostenibilità, raccomanda di essere “agnostici rispetto alla crescita”. A ben guardare siamo noi uomini che diamo un valore alle cose (perché un diamante costa più di un sacco di ottimo letame?); inoltre – ricordate il discorso di Kennedy? – il PIL ed il denaro non misurano quello che ci rende felici, i nostri affetti, la soddisfazione sul lavoro, non misurano la cultura, l’istruzione, la Bellezza … e tanto altro. Non possiamo chiedere agli economisti di misurare la nostra felicità, ma possiamo, anzi dobbiamo desiderare ed esigere un’economia più umana, che sia al servizio dell’uomo, anziché il contrario.
(*) Vedi il saggio “L’economia della ciambella”, Kate Raworth, uscito nel 2017