Il consumo di suolo, una calamità innaturale
Le dimensioni di questo fenomeno sono imponenti in Italia, è fondamentale capire perché è importante ed urgente intervenire
L’emergenza non deve farci perdere di vista le priorità per il rispetto del territorio … L’emergenza sanitaria non deve far passare in secondo piano il futuro e le sfide dell’edilizia. A cominciare dalla riduzione del consumo del suolo e dalle costruzioni sempre più sostenibili. Queste strade non devono essere abbandonate perché sono fondamentali per il futuro. La sostenibilità non è un no a tutto e non può ridursi alla semplice approvazione di leggi, ma deve essere innanzitutto un salto culturale. Dobbiamo capire che il futuro passa attraverso un’edilizia d’implosione, demolire e ricostruire sullo stesso sedime; abbiamo arte, mezzi e materiali per farlo. Crediamo sia possibile rigenerare le nostre città, riqualificando le nostre case, che non possono più essere volumi, contenitori, ma abiti fatti su misura. Un’edilizia bio, sartoriale, che ci possa emozionare dando il giusto valore ai nostri centri storici e alle nostre campagne. Bisogna fermare l’edilizia espansiva di consumo del suolo, che vede il nostro Veneto, per il secondo anno consecutivo, il maggior consumatore in Italia (923 ettari).
Queste frasi, penserà il lettore, provengono certamente dalla voce di un ambientalista: non prive di una vena idealista e forse perfino utopistica sono invece state pronunciate da Paolo Ghiotti, presidente regionale dell’ANCE veneta, l’Associazione Nazionale dei Costruttori Edili. Ebbene sì, da tempo a chiedere attenzione (e auspicabilmente uno stop) al consumo di suolo sono anche i costruttori, al fianco degli ambientalisti, del mondo della cultura e della scienza. All’appello, guarda caso, manca solo la politica che da anni tiene nei cassetti delle commissioni le proposte di legge che, se approvate, potrebbero dare luogo finalmente a una svolta. Cosa aspetta, dunque, il nostro parlamento ad approvare delle norme per fermare il consumo di suolo? Parliamo di una legge che viene chiesta perfino dai costruttori!
Questa premessa-appello ci motiva ad approfondire il tema del suolo basandoci sui dati reali e scientifici; le dimensioni del fenomeno in Italia sono così imponenti che diviene fondamentale capire perché sia così importante ed urgente intervenire per rallentare questa catastrofe “innaturale”.
Partiamo da qualche numero: nel nostro Paese (quasi tutti i dati che leggerete provengono dal rapporto del SNPA, scaricabile QUI) la copertura artificiale dal suolo corrisponde a circa il 7.7% del territorio, una superficie di circa 23000 km quadrati equivalente quasi a quella della Lombardia. Il consumo di suolo prosegue, anche se con un ritmo meno forsennato rispetto a 20 anni fa: nel 2018, ad esempio sono stati artificializzati altri 51 chilometri quadrati di territorio, ovvero, in media, circa 14 ettari al giorno. Una velocità di trasformazione che riguarda poco meno di 2 metri quadrati di suolo che sono stati irreversibilmente persi ogni secondo. Al ritmo attuale la stima è di un nuovo consumo di suolo pari a 1.461 km² nei prossimi 30 anni. Negli ultimi anni a farne le spese è stato soprattutto il paesaggio agricolo (66% del consumo), mentre il 27% dell’espansione ha riguardato l’ambito urbano. Questi numeri, per quanto grandi, non danno però ancora sufficientemente conto della gravità della situazione. Se si considerano anche le superfici che sono influenzate indirettamente dalle coperture artificiali emerge un quadro ancora più allarmante. E’ stato calcolato che la percentuale di superficie indirettamente interessata dal consumo di suolo a livello nazionale è risultata essere pari a 42% (a 60 m), 55,7% (a 100 m) e 75,2% (a 200 m). Da questi dati si evince che i tre quarti del territorio nazionale ricadono entro 200 metri dal suolo consumato!
Prima di iniziare a scrivere dei danni (ambientali ed economici) che comporta il consumo di suolo ci sembra importante sottolineare il contesto demografico in cui questo fenomeno si sviluppa: la popolazione italiana, infatti, ha smesso di crescere da tempo ed anzi negli ultimi anni diminuisce al ritmo di circa 100mila abitanti ogni anno. Il consumo di suolo, in altre parole non è più giustificato da esigenze abitative (innumerevoli sono gli edifici non abitati o sottoutilizzati) e, per usare le parole del rapporto SNPA: ”La cementificazione prosegue (…) ed è ancora slegata da esigenze abitative e necessità di rigenerazione sia urbanistica che sociale. Al contrario, si consuma molto più suolo dove la popolazione ristagna, in un contesto nazionale di recessione demografica e nei comuni di cintura metropolitana e nelle zone intermedie, divenute ormai vere e proprie terre di mezzo raggiunte a fatica dai servizi e con i problemi di inclusione sociale e identità già noti”.
Le conseguenze del consumo e dell’artificializzazione del suolo sono innumerevoli e complesse e pertanto ci limiteremo a citare solo le principali. Ne esistono anche di “immateriali” se mi concedete questo termine: il paesaggio è un bene tutelato dalla nostra Costituzione (nell’articolo 9, uno dei più disattesi) e contribuisce al benessere psicofisico dei cittadini, ma è anche una risorsa per il turismo.
Dal punto di vista del clima il fenomeno più importante è rappresentato dalla ben nota isola di calore urbana: le città, e più in generale le aree urbanizzate, sono più calde rispetto al territorio circostante. Le ondate di calore, sempre più intense e frequenti a causa del riscaldamento globale, colpiscono quindi con maggiore intensità proprio gli agglomerati urbani, in particolare i più grandi, dove si va concentrando una grossa parte della popolazione mondiale. Accanto a questo effetto, sempre con uno sguardo al clima, vanno però citate anche le conseguenze indirette del consumo di territorio legate soprattutto alla dispersione urbana, chiamata anche sprawl: in parole semplici, ogni volta che si costruiscono, specie se in modo disordinato, nuovi quartieri o nuove aree produttive e commerciali si accresce il bisogno di mobilità e di servizi (acqua, fognature ecc.) che conducono alla crescita del consumo di risorse e di energia e, in definitiva, alla crescita delle emissioni di gas-serra. Un esempio per tutti ci viene dall’uso dell’automobile privata: per un abitante di un quartiere periferico essa può essere indispensabile, mentre all’interno di una città moderna treni, autobus, metropolitane e car-sharing possono renderla superflua.
Il danno più grave causato dalla cementificazione è tuttavia la perdita dei servizi ecosistemici, la quale si traduce in perdite economiche: i principali servizi ecosistemici forniti dal suolo sono la produzione agricola, la produzione di legname, lo stoccaggio di carbonio, il controllo dell’erosione, l’impollinazione, la regolazione del microclima di cui si è già detto, la rimozione di particolato e ozono, la disponibilità e purificazione dell’acqua e la regolazione del ciclo idrologico, cui si aggiunge la qualità degli habitat. Con riferimento alla produzione agricola l’effetto dell’urbanizzazione non richiede spiegazioni tanto più che, come abbiamo visto, ben due terzi del consumo di suolo riguarda proprio l’ambito agricolo con la perdita irreversibile di suolo fertile. Inoltre quando parliamo di urbanizzazione e di artificializzazione non dobbiamo pensare solo a case e capannoni, ma anche alle strade e alle altre infrastrutture viarie che contribuiscono al fenomeno della frammentazione dei campi coltivati (che ne rende più dispendiosa la lavorazione) e degli habitat naturali, con ricadute sulla biodiversità e sulla vitalità delle specie. Lo stoccaggio del carbonio rappresenta un importante servizio svolto dai suoli naturali (si veda anche “L’agricoltura può diventare un’alleata per la mitigazione climatica”) che viene a mancare quando il territorio viene urbanizzato. Si stima che tra il 2012 e il 2018 in Italia siano andate perse quasi due milioni di tonnellate di carbonio immagazzinato (stock) a causa della variazione di uso e copertura del suolo.
Ad ultimo, ma non certo per importanza, va ricordato l’impatto dell’uso dei suoli sulla purificazione dell’acqua e soprattutto sulla regolazione del ciclo idrogeologico: il suolo impermeabilizzato dal cemento e dall’asfalto non è più in grado di assorbire l’acqua piovana, che si riversa nelle tubazioni e infine nei fiumi. Il danno è duplice in quanto da un lato viene meno la naturale infiltrazione dell’acqua che andrebbe ad alimentare le falde, dall’altro le acque scorrono più rapidamente nei fiumi e nei canali, aumentando il rischio di esondazione nel caso di precipitazioni molto abbondanti. Secondo il rapporto del SNPA l’aumento del deflusso superficiale prodotto dal consumo di suolo è stimato in oltre 200 milioni di m³/anno. In definitiva, riassume il rapporto: ” La stima dei costi totali della perdita del flusso annuale di servizi ecosistemici varia da un minimo di 2,1 a un massimo di 2,8 miliardi di euro, persi ogni anno a causa consumo di suolo avvenuto tra il 2012 e il 2018.”
In conclusione, abbiamo letto quanti e quanto buoni siano gli argomenti che dovrebbero spingerci a proteggere quella preziosa risorsa (non rinnovabile, almeno su scale di tempo umane) che è il suolo. Perfino chi fosse poco sensibile agli aspetti ecologici avrebbe da riflettere sui numeri riportati poco sopra, che esprimono in miliardi di euro un conto assai salato in termini economici. La sfida da affrontare al più presto è quella raccontata nelle frasi riportate all’inizio dell’articolo e che riassumiamo: occorre arrestare il consumo di suolo, ove possibile restituire alla natura e rendere di nuovo permeabili le aree edificate abbandonate (desealing), demolire e ricostruire, ricostruire all’insegna della bellezza, dell’efficienza e del risparmio energetico.
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