Clima e psiche: storie di immaginazione, azione e cambiamento
Sentiamo parlare del problema climatico a scuola, al lavoro, in vacanza, al bar. Tra una lezione di scienze, un volo in Grecia e qualche caffè espresso, ciascuno di noi ha capito l’importanza di ridurre le emissioni individuali di gas climalteranti in atmosfera. E, soprattutto, abbiamo compreso come le nostre azioni possano cambiare le realtà che ci circondano (persone, aziende, negozi, istituzioni) affinché riducano il proprio impatto ambientale. I target di riduzione dei gas serra suggeriti con forza dalla comunità scientifica hanno tutto l’aspetto di un’impresa ciclopica: l’obiettivo è mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1.5 gradi, ed evitare effetti ambientali catastrofici per l’umanità.
Ma la vita non è fatta solo di clima. Allo stesso tempo, noi giovani vogliamo acquisire e perfezionare competenze (professionali, sociali, artistiche, sportive), crescere e imparare, guardando al futuro con determinazione. Vogliamo dedicarci al nostro estro, a quello che ci piace e che sappiamo fare meglio.
Ma il fatto che i nostri orologi compiano solo 24 giri di lancetta al giorno, ci pone di fronte a una domanda: dobbiamo dedicare il nostro prezioso tempo a salvare il mondo dalla catastrofe climatica, o alle nostre passioni? Nel pensiero comune sembra una lotta tra le parti: o ci si immola per la sopravvivenza dell’umanità o si voltano le spalle al clima per inseguire l’estro. Con la nuova rubrica “Immaginare, fare, cambiare” vogliamo sfidare questa conclusione: perché scegliere? Forse ci vuole solo un nuovo modello d’ispirazione che unisca le due facce della medaglia. Forse ci vogliono storie nuove da ascoltare.
Per questo, vi proponiamo una raccolta di storie di persone “comuni”, che hanno riadattato le proprie capacità e competenze per combattere il cambiamento climatico. Loro hanno seguito le proprie vocazioni, ci hanno dedicato tempo e passione, trasformandole in strumenti di attivismo climatico (chi come lavoro, chi nel tempo libero), per raggiungere almeno uno di tre obiettivi: educare gli altri al cambiamento climatico, de-finanziare l’estrazione di combustibili fossili, ridurre le emissioni di gas serra.
Parleremo di un professore che si ribella alle emissioni di gas serra e ai legami tra la sua università e l’industria fossile, fondando un’organizzazione universitaria di attivismo climatico; scopriremo la storia di un consulente di digital-marketing che decide di creare un podcast climatico; esemplare anche la caparbietà di una studentessa appassionata di radio che diventa broadcaster di un canale sul clima; di un gruppo di grafici, ingegneri e agronomi che fondano una comunità energetica rinnovabile; di insegnanti che realizzano moduli sulla crisi climatica da adattare alla propria materia (spaziando da scienze, a letteratura, a storia); e di molti altri.
La rubrica Clima e Psiche sarà curata da Anna Castiglione.
Facendo ricerca in psicologia sperimentale sono giunta, tramite un percorso arzigogolato, a specializzarmi in psicologia ambientale (climatica, per essere precisi). La domanda che alimenta i miei studi, e che mi scava senza tregua nel cervello, è la seguente: che cosa cambia nella testa di una persona quando, dopo aver compreso la gravità della crisi climatica, decide di attivarsi invece di ignorare il problema? Ci sono diversi candidati fattori psicologici che possono spiegare questo fenomeno (almeno una dozzina sono stati studiati sperimentalmente). Ma i miei preferiti sono tre: Teoria del cambiamento, Efficacia personale e Immaginazione.
Teoria del cambiamento: dal basso (o dal piccolo) verso l’alto (o verso il grande). L’idea che il cambiamento debba arrivare dall’alto può renderci inermi, nell’attesa che il politico di turno decida di ribaltare le sorti del clima. Certamente i governi devono agire, ma il livello di cambiamento richiesto dalla crisi climatica è di tale portata da necessitare l’azione simultanea dei piani alti e di quelli bassi, del governo e degli individui. Renderci conto che il cambiamento può nascere dal nostro piccolo ed espandersi a macchia d’olio può aiutarci a battere l’annichilimento, e spingerci ad agire. Esempi di tale cambiamento a macchia d’olio sono personaggi e aziende che hanno creato o ribaltato piccole realtà economiche e sociali, e ispirato altri a fare lo stesso. Da una piccola realtà etica di successo, o da un gruppo di attivisti, può nascere un cambiamento contagioso, in grado di influenzare catene aziendali, istituzioni, e intere nazioni. Questa è stata la modalità di cambiamento attuata da importanti movimenti attivisti, tra cui quelli per i diritti civili, la guerra in vietnam, l’apartheid. Efficacia personale: la consapevolezza di saper fare qualcosa. Ma quindi, che cosa fa un attivista? E soprattutto, “che cosa mai dovrebbe saperne ciascuno di noi di come si fa attivismo”? Questa domanda parte da un grosso errore di valutazione: che l’attivismo sia qualcosa di speciale. L’attivismo è fatto di petizioni da scrivere, testi di denuncia (proprio come si scrivono resoconti per il capo o temi per la prof), di discorsi da tenere in pubblico (proprio come nelle riunioni aziendali, o nelle interrogazioni), di messaggi capaci di attrarre persone verso la propria causa (come quando pubblicizziamo la nostra azienda, il nostro curriculum o le nostre argomentazioni di tesi), di organizzare (come facciamo con la nostra agenda settimanale), di creare alleanze (vedi i diplomatici do-ut-des col vicino di scrivania/banco su chi paga il pranzo e chi offre il caffè), di convincere (come si fa con una proposta di progetto aziendale, o di tesi di laurea). Suonano come competenze speciali? O come cose che in un modo o nell’altro facciamo tutti, chi più e chi meno, chi meglio e chi peggio? Nel quotidiano tutti mettiamo in pratica almeno una competenza che potrebbe essere applicata nell’attivismo climatico. E per molti, tali competenze sono anche talenti e passioni. C’è chi eccelle ad argomentare catturando l’attenzione con un discorso, chi lo fa meglio con la penna, e chi con la chitarra. E allora perché non argomentare l’aumento del 400% degli eventi climatici estremi dagli anni 70’, o l’illegittimità della disinformazione attuata dall’industria fossile? C’è chi eccelle a ideare strategie di marketing: perché non pubblicizzare l’uso dei pannelli solari o la riduzione dei consumi? C’è chi è pratico nell’organizzazione di eventi: perché non una raccolta fondi a sostegno di un’iniziativa climatica? C’è chi è bravo ad insegnare: perché non raccontare ai propri alunni la storia, la fisica e la filosofia dell’effetto serra? Insomma, le capacità che ci rendono attivisti sono le più svariate, e molti di noi le usano già tutti i giorni. Immaginazione: reinventare il futuro e il nostro ruolo al suo interno. La sociologa Kari Marie Norgaard chiama ”immaginazione sociologica” l’ideare strategie che i singoli individui possono attuare per creare un cambiamento su vasta scala, partendo dalle loro piccole realtà sociali. La strategia più appetibile, a mio parere, è prendere le attività che già ci appassionano e che sappiamo fare meglio, e dedicarle alla protezione del clima. Non serve necessariamente aggiungere cose da fare (conosciamo tutti i limiti del tempo); si può anche riorientare quelle che facciamo già. Si può reimmaginare il corso dei nostri obiettivi, pur continuando (o cominciando) a fare quello che davvero ci appassiona, che questo sia il nostro lavoro o un hobby. Ci vuole fantasia per compiere questa svolta. Non è immediato immaginarsi come un chitarrista, un elettricista, un insegnante, un impiegato, un cassiere o un finanziere possano riorientare le proprie capacità per rientrare nel disegno attivista di cui stiamo parlando. Come fare? Starà alla vostra immaginazione guardarvi dentro e riscoprirvi attivisti climatici. Spero che le storie che vi racconteremo possano essere d’ispirazione. Questa rubrica è un modo di dire: “annichilimento? No grazie”. |
Teoria del cambiamento, Efficacia personale e Immaginazione ne saranno le forze motrici: racconteremo storie di persone che da un’azione locale stanno creando cambiamenti globali, reindirizzando le proprie capacità verso l’emergenza climatica, con un po’ di immaginazione.
Sperando di ispirarvi, proponiamo di mettere la testa fuori dalla nuvola grigia che ci fa sentire condannati a un’esistenza di distruzione, le cui alternative fino ad ora sono state immolarsi, o girarsi dall’altra parte. È il momento di capire come fare a riprendercelo questo futuro, alle nostre condizioni, tramite quello che ci piace e sappiamo fare meglio.