Finanza climatica a COP27, entro il 2030 ai Paesi in via di Sviluppo servirebbero migliaia di miliardi di dollari l’anno
Secondo un rapporto presentato durante la COP27, entro il 2030 sarebbero necessari oltre mille miliardi di dollari ogni anno per aiutare i Paesi in via di Sviluppo a ridurre le emissioni di gas serra e ad affrontare le conseguenze della crisi climatica. Il report, commissionato congiuntamente dai governi di Regno Unito ed Egitto, è stato curato dal gruppo di alto profilo di esperti di Finanza Climatica dell’Istituto di Ricerca Grantham sul Cambiamento climatico e l’Ambiente e della London School of Economics and Political Science, tra cui spicca il nome di Nicholas Stern, noto economista e accademico britannico. E questa potrebbe essere una stima ottimistica: alcuni report paralleli, pubblicati sempre nell’ambito della COP27, stimano investimenti anche di 2 mila miliardi di dollari e oltre.
Finanza climatica e Loss and Damage: servono investimenti per migliaia di miliardi di dollari l’anno verso i Paesi in via di sviluppo
Per poter velocizzare la transizione ecologica dei Paesi in Via di Sviluppo (Cina esclusa) e aiutarli nell’adattamento e mitigazione delle nuove minacce causate dal clima, sarebbe necessario raccogliere almeno mille miliardi dollari l’anno entro il 2030. Questo denaro sarebbe necessario per consentire ai Paesi più poveri di sfruttare energia pulita, abbandonando i combustibili fossili e investendo nelle rinnovabili e in altre tecnologie a basse emissioni di carbonio. Allo stesso tempo servirebbero per far fronte agli impatti causati dagli eventi meteo estremi, il cui aumento in frequenza e intensità è conseguenza diretta della crisi climatica.
Si tratta di una cifra esorbitante, superiore ad ogni finanziamento stanziato finora per aiutare i Paesi più poveri, ma sarebbe un passaggio fondamentale per trasformare le nostre economie, il settore energetico e investire nella decarbonizzazione, nell’adattamento e nella resilienza.
Dal 2009 ai Paesi più poveri è stato promesso che dal 2020 avrebbero ricevuto 100 miliardi l’anno per la transizione ecologica ed energetica e per far fronte agli impatti degli eventi meteo estremi. Il fallimento di questa promessa (l’obiettivo è stato ripetutamente mancato e probabilmente non verrà raggiunto fino al prossimo anno) ha sicuramente avuto un impatto sulla fiducia generale verso la finanza climatica, ma c’è bisogno di una svolta significativa per mobilitare entro il 2030 oltre mille miliardi di dollari ogni anno verso i Paesi in via di sviluppo, ad eccezione della Cina.
Ad oggi è la Germania a contribuire più di tutti alla finanza climatica, con 8,2 miliardi l’anno, seguita da Giappone (6,3) e dalle Istituzioni dell’UE (5,6). Non siamo ancora riusciti a mantenere la promessa dei 100 miliardi: nel 2021 la cifra è arrivata a 83,3 miliardi, non abbastanza. L’Italia aveva annunciato di voler triplicare le risorse finanziarie dedicate e, per questo, ha dato vita al Fondo italiano del clima che porterà il contributo dell’Italia a 840 milioni l’anno per i prossimi 5 anni.
“I paesi ricchi dovrebbero riconoscere che è nel loro interesse personale vitale, oltre che una questione di giustizia, visti i gravi impatti causati dai loro alti livelli di emissioni attuali e passate, investire nell’azione per il clima nei mercati emergenti e nei paesi in via di sviluppo”, ha detto Stern. “La maggior parte della crescita delle infrastrutture e dei consumi energetici che si prevede avverrà nel prossimo decennio riguarderà i mercati emergenti e i paesi in via di sviluppo, e se resteranno dipendenti dai combustibili fossili, il mondo non sarà in grado di evitare pericolosi cambiamenti climatici, danneggiando e distruggendo miliardi di vite e mezzi di sussistenza sia nei paesi ricchi che in quelli poveri”. Aiutare quindi i paesi più poveri non è quindi solo un atto di giustizia climatica, ma sarebbe l’unico modo che tutti noi abbiamo per frenare il riscaldamento globale e limitare le sue conseguenze.
Ma per farlo oggi serve uno sforzo maggiore. “Data la pressione sui bilanci pubblici in tutti i Paesi, il ruolo delle banche multilaterali di sviluppo, inclusa la Banca Mondiale, sarà fondamentale per aumentare la portata della finanza esterna per i mercati emergenti e i paesi in via di sviluppo, e ridurre i costi di capitale per gli investitori. Il flusso di finanziamenti da queste istituzioni dovrebbe triplicare da circa 60 miliardi l’anno di oggi, a circa 180 miliardi l’anno entro i prossimi cinque anni. Ciò richiede un forte senso di direzione e sostegno da parte degli azionisti del Paese e una vera leadership da parte dei vertici di queste istituzioni”, ha detto Stern.
L’entità degli investimenti necessari per i Paesi in via di Sviluppo nei prossimi cinque anni e oltre richiederà una strategia di finanziamento e di debito che affronti le crescenti difficoltà del debito, in particolare quelle dei paesi poveri e vulnerabili, e che porti a una grande espansione della finanza sia interna che internazionale, pubblici e privati, convenzionati e non. Gli esperti hanno sottolineato i mille miliardi di dollari l’anno sono ben diversi dai 100 miliardi, non solo per l’entità: i 100 miliardi sono stati infatti negoziati, mentre i 1000 miliardi sono frutto di una analisi degli investimenti e delle azioni necessarie per raggiungere uno scopo vitale e concordato a livello internazionale.