Trovato l’accordo sul Fondo “perdite e danni” verso COP28, ma ci sono importanti criticità
C'è un primo accordo storico sul Fondo per il Loss and Damage, che dovrà sostenere le nazioni e le comunità più colpite dalla crisi climatica. Ma i compromessi imposti dai Paesi più ricchi rischiano di renderlo molto meno efficace
Fra il 3 e il 4 novembre si sono svolti i colloqui finali per concordare una proposta sul nuovo Fondo internazionale per i cosiddetti Loss and Damage, che era stato annunciato durante l’ultima Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima, la COP27 di Sharm el-Sheikh, come uno strumento per riparare le perdite e i danni provocati dalla crisi climatica nei Paesi più vulnerabili.
Il vertice dei giorni scorsi, ospitato da Abu Dhabi, è stato portato avanti da un comitato delle Nazioni Unite composto da 24 membri e incaricato di progettare il Fondo. Dopo quasi un anno di discussioni, i tempi erano ormai stretti: il 30 novembre si apriranno i lavori della COP28, ospitata dagli Emirati Arabi Uniti a Dubai, e il Loss and Damage è considerato tra i temi più importanti e spinosi che dovranno essere affrontati ai negoziati sul clima di quest’anno.
Secondo l’accordo annunciato sabato, il Fondo destinato a riparare i danni climatici sarà amministrato inizialmente dalla Banca Mondiale e attingerà da varie fonti di finanziamento, compresi i grandi Paesi in via di sviluppo, gli Stati Uniti, l’Unione Europea e il Regno Unito. Non è stato fissato un obiettivo preciso per quanto denaro il fondo distribuirà, ma secondo le stime i Paesi più colpiti dalla crisi climatica avranno bisogno di centinaia di migliaia di dollari nel giro di pochi anni.
Il progetto dovrà essere formalmente adottato alla COP28, ma ora che si è trovato un accordo sulla proposta appare molto più probabile il Fondo venga istituito, e che finalmente si affronti una questione difficile e dolorosa che si trascina da oltre trent’anni senza risposte concrete. Come ha sottolineato l’inviato per il clima di Barbados, Avinash Persaud, è la prima volta che viene creato uno strumento internazionale finalizzato esplicitamente, ed esclusivamente, a fornire finanziamenti per la ricostruzione, la riabilitazione e il reinsediamento dopo eventi meteorologici estremi o lenti cambiamenti climatici.
Tuttavia, il timore di molti è che questo strumento sia reso meno efficace dai rigidi paletti che sono stati imposti dalle nazioni più ricche durante il negoziato.
Il Fondo per il Loss and Damage rischia di essere indebolito dai compromessi imposti dai Paesi ricchi
I punti più critici e importanti sono tre:
- il ruolo controverso della Banca Mondiale, che dovrà ospitare «temporaneamente» il Fondo;
- i termini dell’accordo, che non identificano una cifra minima da stanziare e non indicano in modo chiaro e inequivocabile chi e come dovrà finanziare il Fondo;
- la mancata menzione del principio delle responsabilità comuni ma differenziate e l’assenza di un linguaggio fondato sui diritti umani.
Per quanto riguarda la gestione del Fondo, in particolare, ha suscitato molte tensioni la proposta statunitense di coinvolgere la Banca Mondiale, contro le richieste dei Paesi in via di sviluppo che considerano più adatto un organismo indipendente. Il timore principale è che questa gestione, sebbene sulla carta debba essere solo temporanea, si trasformi in una soluzione permanente e che possa minare la capacità del Fondo di soddisfare i bisogni e le priorità delle comunità più colpite dalla crisi climatica, favorendo gli interessi dei Paesi più ricchi. Tra le principali criticità evidenziate da chi si oppone alla scelta della Banca Mondiale c’è il suo modello di business, che si basa sulla concessione di prestiti mentre i Paesi più vulnerabili hanno grande bisogno di finanziamenti a fondo perduto. Lascia inoltre perplessi il ruolo di questa istituzione nel contrasto alla crisi climatica, dato che attualmente sta ancora investendo miliardi di dollari in progetti legati ai combustibili fossili.
L’altra grande criticità riguarda i termini utilizzati nel testo che è stato approvato, che non stabiliscono una dimensione minima del Fondo, non obbligano i Paesi più sviluppati a contribuire e non menzionano in modo esplicito né le responsabilità storiche delle nazioni, né la centralità dei diritti umani.
«I Paesi sviluppati devono contribuire in linea con la loro responsabilità storica», ha commentato l’organizzazione CAN Europe (Climate Action Network), che considera «incredibilmente deludente» l’esito delle negoziazioni. «I Paesi ricchi voltano le spalle alle comunità vulnerabili», ha accusato Harjeet Singh, responsabile della strategia globale presso CAN International.
Nelle prossime settimane il testo approderà alla COP28 di Dubai: qui verrà sottoposto alle delegazioni di quasi 200 governi e, se tutto va secondo i piani, riceverà l’approvazione finale per dare il via ufficialmente all’istituzione del Fondo internazionale per il Loss and Damage.