L’alba di una nuova era rinnovabile: il tramonto del fossile
Il sistema energetico sta finalmente cambiando: quali meccanismi stanno portando dal fossile alle rinnovabili? Parte 2 - la crisi del fossile
In L’alba di una nuova era rinnovabile – Parte 1 abbiamo visto come nuova capacità elettrica rinnovabile sia ora più conveniente di nuova capacità da fonti fossili per due terzi della popolazione mondiale. Questo ha fatto sì quest’anno – e farà sì nei prossimi anni – che quasi tutta la crescita del settore sia soddisfatta da nuova energia rinnovabile. Non solo, nel 2020, a fronte della più grave crisi del fossile dal dopoguerra, l’elettricità rinnovabile installata registra un record di crescita.
Cosa sta accadendo nel frattempo al mondo fossile?
Molti osservatori sono ormai convinti che il fossile sia avviato a un declino inesorabile, con la crisi di quest’anno colpo fatale da cui non sarà mai più in grado di risollevarsi. In sostanza, la domanda – e i prezzi – del petrolio non raggiungeranno mai più i livelli del 2019, condannando l’industria petrolifera a una crisi senza fine, fatta di svalutazioni progressive delle loro risorse e contrazione delle loro attività.
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Anche secondo gli analisti più conservativi tale inesorabile declino inizierà non oltre il 2030, a causa della restante crescita della domanda in paesi quali India e Cina. Ma il ritmo e lo schiacciante dominio delle rinnovabili nella crescita del settore energetico concentrano le risorse economiche e la ricerca su tali fonti, lasciando prevedere ulteriori riduzioni dei costi di produzione e stoccaggio dell’energia rinnovabile e quindi ulteriore guadagno di competitività rispetto al fossile.
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Lo ammettono proprio tutti
Anche le grandi major del petrolio sanno, ormai, di avere solamente due opzioni: la trasformazione del proprio business o il declino. Uno dei giganti del fossile europei, la BP, prevede il picco nella domanda di petrolio nel giro di pochi anni (anche nello scenario più sfavorevole al clima – nessun ulteriore intervento legislativo), previsione più sfavorevole al suo stesso business di quella dell’IEA. Tanto è vero che BP ha annunciato di voler tagliare la produzione di petrolio e gas del 40% e aumentare la sua capacità di generazione rinnovabile di venti volte entro il 2030.
Secondo l’IEA, gli investimenti in nuova capacità elettrica rinnovabile delle major fossili aumenteranno di dieci volte dal 2020 al 2025; di questi il 95% proverrà da major europee, dove gli obiettivi climatici sono più stringenti che in USA e Medio Oriente (il che accresce l’importanza dell’elezione di Biden e del suo impegno per il clima). In ogni caso, va rimarcato che solo il 2% della capacità rinnovabile globale sarà prodotta o consumata dai giganti fossili al 2025: nel prossimo decennio almeno, gas e petrolio rimarranno il loro business primario. Molte di esse sembrano ancora intenzionate a succhiare le ultime gocce di profitto rimaste nell’industria.
Bye bye finanziamenti al fossile, benvenuti nel mondo delle rinnovabili
Un esempio lampante della già avviata parabola discendente dell’industria fossile è quello di ExxonMobil, prima società al mondo per capitalizzazione quasi ininterrottamente dal 2003 al 2011, la più grande major del petrolio, prima compagnia petrolifera occidentale (ex Standard Oil fondata da Rockefeller). Oggi, anche a causa della crisi pandemica, è solo un relitto rispetto a ciò che è stata. In agosto è stata espulsa da uno dei più rinomati indici finanziari, il Dow Jones Industrial Average, di cui faceva parte dal 1928. In ottobre è stata superata per capitalizzazione dalla prima società rinnovabile statunitense, la NextEra Energy. Cosa può simboleggiare la fine di un’era più di questo?
D’altronde, quello di ExxonMobil e NextEra Energy non è un caso isolato: è iniziato un deciso spostamento di capitali, di finanziamenti, dal fossile al rinnovabile. Il valore in borsa delle principali major del petrolio, non solo Exxon, cala ormai da anni, mentre da dicembre 2019 a ottobre 2020 il valore delle azioni delle società solari in tutto il mondo è più che raddoppiato. Da gennaio a ottobre di quest’anno le azioni dei produttori di apparecchiature e sviluppatori di progetti rinnovabili hanno sovraperformato la maggior parte dei principali indici di borsa e il settore dell’energia in generale.
Una scelta conveniente
Il mondo della finanza non ha più interesse nel fossile: le rinnovabili, infatti, convengono ormai nel medio e nel lungo termine. Nel medio termine gioca un ruolo chiave la maggiore convenienza della nuova capacità rinnovabile e la conseguente egemonia delle stesse nella crescita del settore energetico: gli investimenti remunerativi, ormai, non sono quelli nel fossile – con prospettive di stagnazione, se non di decrescita – ma quelli nelle rinnovabili. Le rinnovabili, inoltre, quest’anno hanno indubbiamente dimostrato una maggiore resilienza alle crisi.
Anche le scelte di molti stati di orientare una parte consistente dei fondi per la ripresa a progetti green giocano a favore della transizione.
Obiettivi climatici
Nel lungo termine, poi, gli impegni delle più grandi potenze mondiali lasciano prevedere un futuro ancora più verde per le rinnovabili e più nero per il fossile: Europa, Giappone e Corea del Sud hanno annunciato di puntare ad essere Net Zero nel 2050, la Cina nel 2060. Il nuovo presidente eletto Biden ha in pentola 2 triliardi di investimenti in tecnologie verdi e, probabilmente, non vorrà rimanere indietro rispetto alle altre superpotenze nei target climatici.
Nonostante gli impegni, però, è spesso la politica a dimostrarsi più di altri settori restia al cambiamento e incollata ai meccanismi di un sistema ormai morente. Gli sforzi a supporto della transizione sono sovente accompagnati da azioni contrastanti: l’Italia spende ancora 15 miliardi l’anno in sussidi all’energia fossile. Sussidi che non sono stati tagliati anche quest’anno, nonostante, secondo Legaambiente, 8,6 potrebbero essere eliminati immediatamente senza conseguenze per il paese o per i cittadini.
La finanza sposta i capitali dal fossile al green, non lo fa la politica. Perde così un’enorme opportunità.
Per quanto la transizione sia ormai economicamente inevitabile, la politica potrebbe e dovrebbe accelerarla ulteriormente, così da raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e da assicurare un florido futuro alla propria nazione. Perchè il futuro, è evidente, appartiene a chi sarà leader della nuova energia.
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