Migrazioni climatiche: Bosnia ed Erzegovina rischiano di venire spopolate
Le devastanti alluvioni del 2014 hanno causato un'ondata migratoria paragonabile soltanto alle fughe dalla guerra
Migrazioni climatiche, un drammatico fenomeno in continua ascesa. Masse intere di uomini, donne, bambini e anziani che si spostano da un Continente all’altro in cerca di condizioni di vita più accettabili. In fuga da un clima che non permette più la loro sopravvivenza. È quanto sta accadendo proprio in quest’ultimo periodo in Bosnia ed Erzegovina: dopo le devastanti alluvioni subite negli anni scorsi, queste terre rischiano di venire completamente spopolate. A tracciare il quadro di questa desolante situazione è Euronews, canale d’informazione che ha raccolto le testimonianze dirette di chi, quest’esodo di massa, lo sta vivendo in prima persona. La più devastante delle alluvioni risale al maggio 2014: Balcani occidentali in ginocchio. “Il pianeta è tutto connesso ad un enorme sistema climatico. Grandi cambiamenti in alcuni angoli del globo– spiega al canale informativo Vladimir Đurđević, uno dei più celebri climatologi locali- possono portare a conseguenze drastiche da tutt’altra parte“. In base a quanto l’esperto ha potuto direttamente constatare sulla base delle conseguenze subite dal suo territorio, non si può negare che il riscaldamento del Polo Nord abbia causato enormi modifiche alla circolazione atmosferica: l’aumento delle temperature in un luogo, cioè, influenza il comportamento di venti e cicloni anche a migliaia di chilometri di distanza. Ecco spiegato il motivo per cui nel maggio 2014 su Bosnia, Serbia e Croazia si è fermata una grande massa ciclonica per un arco di tempo lunghissimo. Questa massa ciclonica ha portato con sé piogge torrenziali per intere settimane. In alcune zone ha piovuto per 21 giorni consecutivi, con conseguente totale saturazione del suolo. E da lì inondazioni improvvise, frane e smottamenti lungo piccoli e grandi corsi d’acqua. Il fiume Sava, il principale affluente del Danubio che segna il confine tra Bosnia ed Erzegovina e Croazia, ruppe gli argini seminando distruzioni “bibliche”, come affermato dai giornali serbi all’epoca. Anche la Bosna, il Vrbas, la Una e la Sava strariparono; in Serbia la città di Obrenovac venne sommersa, le frane distrussero il paese di Krupanj e anche il fiume Kolubara esondò. L’acqua rimase in quantità enormi su tutto il territorio per tre giorni. Sul 70% delle zone inondate in Bosnia si riversarono le mine antiuomo mai bonificate dopo la guerra. Alcuni, nel centro del Paese, raccontano di interi condomini ridotti a scheletri e infestati da serpenti, dopo il ritiro delle acque.
Devastante il bilancio economico: già nei giorni successivi al disastro, le autorità bosniache dichiararono che i danni economici potevano essere paragonabili a quelli lasciati dalle guerre degli anni novanta: 2 miliardi di euro, il 15% circa del PIL bosniaco. In Serbia si registrarono 51 morti con 1,6 milioni di persone colpite, per una cifra di danni pari al 3% del PIL. Per un territorio fatto di piccoli villaggi e paesini, la soluzione inevitabile fu tentare l’emigrazione. Da lì il disperato via verso Austria, Germania, Svizzera e Italia. L’evento del 2014 purtroppo non rimase un fatto isolato. Anzi, divenne una sorta di catalizzatore di un processo ormai irreversibile: la migrazione climatica dai Balcani. Dopo le fughe per la guerra, dunque, le fughe per il clima. Non a caso, nel 2014 le agenzie stampa internazionali affermarono che il disastro scatenò “il peggior esodo dai tempi della guerra”. Oggi la Banca Mondiale stima che il numero di bosniaci che già vivono all’estero sia pari alla metà dell’intera popolazione. Ma il bilancio promette di aggravarsi sempre di più, perché questa migrazione climatica è ormai inarrestabile.