Crisi idrica e desalinizzazione dell’acqua del mare. Può essere la soluzione?
Stiamo vivendo una crisi molto importante con il governo che si sta disponendo ad affrontare gli effetti immediati di quella che il premier ha definito "la crisi idrica più grave degli ultimi 70 anni"
L’acqua è una delle risorse più preziose del nostro Pianeta; da tempo ormai circolano immagini tragiche riferite a perdite idriche di rilievo e al razionamento dell’acqua nelle principali città italiane. Stiamo vivendo una crisi molto importante con il governo che si sta disponendo ad affrontare gli effetti immediati di quella che il premier ha definito “la crisi idrica più grave degli ultimi 70 anni“. Ognuno di noi può e deve fare qualcosa; nel nostro piccolo ridurre gli sprechi è fondamentale. Piccoli gesti come evitare di tenere sempre i rubinetti aperti e cercare di consumare meno acqua possibile quando facciamo una doccia o ci laviamo i denti sono importanti.
Per correre ai ripari diverse aziende propongono metodi di desalinizzazione per produrre acqua potabile dall’acqua del mare; una di queste Webuild, propone un programma volto a trovare una soluzione definitiva alla grave scarsità di acqua che attanaglia il Paese in modo strutturale e non episodico. Il progetto che sta elaborando il Gruppo nato nel 2020 da Salini Impregilo, sarà presentato a governo e istituzioni: verranno proposte soluzioni concrete da realizzare nel breve termine, attraverso la costruzione di desalinizzatori che producono acqua potabile dall’acqua del mare, per rimediare al drammatico fabbisogno di acqua in modo stabile e strutturale, allineando l’Italia agli standard dei Paesi che hanno già investito in impianti di dissalazione per la produzione di acqua potabile.
“Vogliamo promuovere un progetto integrato che permetta al Paese di risolvere questo problema endemico che sta peggiorando sempre più. La nostra controllata Fisia ha già realizzato la maggior parte degli impianti di dissalazione in funzione nel Medio Oriente, rendendo possibile la vita in città strappate al deserto come Abu Dhabi o in città ad alto consumo di acqua come Dubai. La carenza idrica in Italia è un fenomeno storico e non solo momentaneo legato al cambiamento climatico. È necessario un intervento immediato e strutturale per risolvere una volta per tutte lo stato di profonda crisi idrica del Paese, approfittando del momentum positivo per la realizzazione di infrastrutture e dell’esperienza di soggetti istituzionali ed imprenditoriali, che insieme si possono mettere a disposizione del Paese e degli italiani per fornire soluzioni al problema, anche facendo ricorso a risorse del PNRR” dichiara Pietro Salini, Amministratore Delegato di Webuild.
Nel comunicato stampa di Wibuild si fa riferimento sia ai problemi legati ai cambiamenti climatici ma anche a infrastrutture non adeguate: in Italia oltre alla ridotta produzione di acqua ed alla contratta dimensione dei pochi impianti esistenti, si aggiungerebbe quindi anche la cronica mancanza di manutenzione delle strutture di distribuzione e quasi 1 miliardo di m³ d’acqua potabile sprecati ogni anno, più di 1/3 di tutta l’acqua a disposizione. Il 32% della popolazione lamenterebbe scarsità di acqua potabile, per un valore stimato in circa mezzo miliardo di m³ per anno. L’Italia oggi ha una produzione del 4% di acqua desalinizzata rispetto al consumo totale (in Spagna è del 56%, in Australia è pari al 26%) fatta prevalentemente con piccoli impianti nelle isole minori (Lipari, Elba, Ischia…) nonostante sia una penisola bagnata da diversi mari.
Uno studio pubblicato nel 2019 e commissionato dall’ONU mette però in guardia sul rovescio della medaglia della desalinizzazione: per ogni litro di acqua desalinizzata ci sarebbe un residuo di 1,5 litri di salamoia, a concentrazione variabile, in funzione della salinità dell’acqua di partenza. A livello globale, a fronte dei 95 milioni di m³ di acqua dolce prodotti al giorno da quasi 16000 strutture operative, verrebbero prodotti anche 142 milioni di m³ di salamoia ipersalina.
L’analisi poi rivela che una buona metà della salamoia mondiale è prodotta in soli quattro Paesi: Arabia Saudita (22%), Emirati Arabi Uniti (20,2%), Kwait (6,6%) e Qatar (5,8%). Gli impianti del Medio Oriente che utilizzano le tecnologie di dissalazione termica/evaporativa produrrebbero mediamente da due a quattro volte più salamoia per m³ di acqua pulita rispetto agli impianti che utilizzano il metodo della distillazione a membrana per la desalinizzazione di acqua di fiume, più diffusi negli Stati uniti.
La melma ipersalina ricca di anti-incrostanti, metalli e cloruri vari, dovrebbe venire considerata come le altre scorie industriali pericolose ed essere destinata a processi di smaltimento su misura. La corretta gestione di questo materiale è costosa e al momento si stima possa rappresentare fino al 33% dei costi operativi dell’impianto. Così accade ciò che purtroppo si vede anche in altri ambiti: la maggior parte della salamoia finisce direttamente negli oceani, nelle acque superficiali, negli impianti di smaltimento delle acque reflue attraverso le fognature o, più raramente, in pozzi profondi.
Com’è facile intuire e come gli autori dello studio hanno sottolineato, la salamoia smaltita in mare altera la salinità dell’acqua in prossimità delle coste e compromette l’ambiente marino. L’elevata salinità produce una riduzione nel livello di ossigeno in acqua e questo impatta notevolmente sugli habitat degli organismi bentonici, quelli che vivono in contatto temporaneo o permanente col fondo, con effetti ecologici osservabili lungo tutta la catena alimentare.