Il rischio di disastri naturali: il ruolo della scienza e dei dati
Pubblicato il nuovo report dell’UE sulla scienza e la gestione del rischio da disastri naturali
Il concetto di rischio è intimamente legato a quello di probabilità e per questo è così difficile da comprendere, tanto che gli esperti trovano spesso difficoltà nel comunicarlo, non solo a coloro che al rischio sono esposti, ma anche a coloro che, sulla base del rischio, sono chiamati a prendere decisioni e a gestirlo.
[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Per approfondire: L’incertezza non ci piace, eppure avrebbe un valore inestimabile[/box]
Eppure, in questa epoca storica, non vi è nulla di più attuale e di più sorprendentemente contingente del concetto di rischio, concretizzatosi nella pandemia. Il Covid-19 ha reso terribilmente palese la complessità della risposta necessaria al manifestarsi di un rischio sistemico, che ha richiesto la collaborazione fra diversi settori, discipline e livelli di governance. Non solo, ha messo in primo piano il ruolo della scienza: nello studiare il problema, nel partecipare alla costruzione delle soluzioni e anche nel contribuire a gestire il rischio stesso.
Proprio sulla scienza che studia il rischio e la sua gestione si focalizza il nuovo report pubblicato dal Knowledge Centre europeo per la gestione del rischio di disastri (DRMKC): “Science for Disaster Risk Management 2020: acting today, protecting tomorrow” (“La scienza per la gestione del rischio di disastri 2020: agire oggi, proteggere il domani”). Frutto della collaborazione fra più di 300 esperti nel rischio da disastri, il rapporto approfondisce le conseguenze dei disastri naturali (fra cui terremoti, epidemie, tsunami, incendi forestali, etc.) su popolazione, settori economici, infrastrutture essenziali, ambiente e patrimonio culturale, indicando come tale rischio possa essere gestito.
I disastri naturali rappresentano, infatti, una grave minaccia per tutti questi comparti: secondo le stime dell’Agenzia europea dell’ambiente, dal 1980 al 2017 – ancor prima della pandemia – i disastri naturali in Europa hanno prodotto più di 115 mila vittime e danni economici pari a 557 miliardi di euro. Quel che è peggio è che la maggior parte delle vittime e dei danni è legata ad eventi climatici e meteorologici estremi, destinati ad aggravarsi, nella loro frequenza ed intensità, col progredire della crisi climatica.
Valutare il rischio
La valutazione accurata del rischio svolge un ruolo fondamentale nell’identificare, pianificare e implementare le misure più adeguate alla sua riduzione. Ma cosa significa valutare il rischio?
Significa calcolare tre diversi elementi: pericolosità (P), esposizione (E) e vulnerabilità (V).
- La pericolosità è la probabilità che un fenomeno potenzialmente dannoso si verifichi in una determinata area, in un certo periodo di tempo e con una data intensità. Nel caso del rischio sismico, è la probabilità che si verifichi un terremoto, anche in un territorio totalmente disabitato.
- La vulnerabilità, in genere su una scala da 0 a 1, indica invece la fragilità di un dato elemento (persone, attività, etc.): la propensione a subire un danno a seguito di un evento pericoloso di una data intensità. Nel caso del terremoto, per un edificio indicherebbe il grado di danno che ci si aspetta su quell’edificio in conseguenza del terremoto: basso se edificato con tecniche antisismiche, alto in caso contrario.
- L’esposizione indica il valore (o il numero di unità) degli elementi che possono essere esposti all’evento pericoloso: ad esempio, il valore economico dell’edificio sopra considerato. Il prodotto di esposizione e vulnerabilità (ExV) darà il valore economico del danno provocato all’edificio nel caso in cui il terremoto si verifichi.
Il rischio sarà dunque la combinazione della gravità del danno (ExV) e della probabilità di accadimento dello stesso (P).
[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un esempio: una festa tra amici
Se volessimo calcolare il rischio associato all’organizzazione di una festa in tempo di pandemia, dovremmo moltiplicare PxVxE, dove:
- P è la probabilità che almeno uno degli amici abbia il Covid (dipendente, ad esempio, dalle caratteristiche intrinseche di contagiosità del virus, dal numero di attualmente positivi in città e dalle abitudini sociali degli amici) – supponendo che un solo amico infetto contagi tutti gli altri;
- E è il numero degli amici e dei loro contatti;
- V è la fragilità degli amici e dei loro contatti, ad esempio la probabilità di decesso una volta contratto il Covid, che dipenderà dall’età, dalle patologie pregresse, etc.[/box]
Il ruolo della scienza
Questa “scomposizione” del concetto di rischio permette di intuire quanto la scienza debba e possa contribuire alla valutazione del rischio (e quindi alla sua gestione) sotto diversi aspetti:
- nel calcolo della pericolosità (P), tramite modelli matematici che descrivano ad esempio il comportamento di un versante o tramite dati storici (“quante frane si sono verificate in passato in questo luogo?”);
- nel calcolo del potenziale danno (ExV), tramite la valutazione delle caratteristiche degli elementi (popolazione, infrastrutture, attività economiche, patrimonio naturale e artistico, etc.) esposti al pericolo nel territorio considerato. È estremamente utile rispondere a domande del tipo: “quali pratiche o interconnessioni fra di esse sono le maggiori cause della vulnerabilità o dell’esposizione?”
Una volta valutati questi due aspetti – pericolosità e danno – si hanno dunque gli elementi per poter riconoscere, pianificare ed attuare le azioni di riduzione del valore esposto (E) o della vulnerabilità (V) dello stesso, e, quando possibile, della pericolosità (P).
Se è chiara l’importanza della previsione dell’evento pericoloso e della localizzazione dei territori potenzialmente interessati, anche lo studio degli impatti e dei meccanismi di propagazione e amplificazione degli stessi risulta essenziale: esso guida la risposta e facilita la ripresa dopo un disastro e, fornendo dati precisi su vulnerabilità ed esposizione, permette di approntare misure efficaci di prevenzione.
Fra le conseguenze di un disastro, infatti, non si annoverano solamente quelle immediatamente visibili dopo l’evento, ma anche quelle che si manifestano nel lungo termine o in luoghi differenti. Si pensi ad esempio agli effetti dei cambiamenti climatici o alle conseguenze su un’impresa multinazionale dell’interruzione della catena di approvvigionamento in un paese fornitore distante migliaia di chilometri. Molti impatti, detti indiretti, si verificano poi come conseguenza non dell’evento, ma delle prime conseguenze di esso (a cascata), o delle azioni di risposta: è il caso degli effetti dell’ampia evacuazione dei territori intorno alla centrale nucleare di Fukushima dopo il disastro.
La scienza ha fatto passi da gigante su entrambi i fronti di studio, come sottolineato da Jaroslav Mysiak, Coordinating Lead Author del report UE: “Nel corso degli ultimi decenni, la valutazione del rischio di disastri è notevolmente migliorata, grazie ai progressi fatti nel calcolo ad alte prestazioni, alla disponibilità e allo sviluppo di dati topografici e di altri dati spaziali in alta risoluzione, a una nuova generazione di modelli di rischio e di perdite/impatti in caso di disastri, e di dataset su esposizione e vulnerabilità ad alta risoluzione.
Un’accurata rappresentazione spaziale delle caratteristiche di esposizione e vulnerabilità, come strutture e beni residenziali e industriali, infrastrutture, densità di popolazione e prodotto interno lordo, rende possibile migliorare le stime e la distribuzione spaziale degli impatti dei disastri. L’accessibilità a prodotti di osservazione della Terra di altissima qualità, come quelli del programma Copernicus dell’Unione europea, ha aperto la strada a dati coerenti su esposizione e vulnerabilità su scala continentale e globale.”
L’importanza dei dati
Appare dunque chiara l’importanza dei dati: dopo un evento indicano chi e cosa è stato danneggiato e in quale misura, permettendo l’intervento organizzato (nell’immediato e nella ripresa) e il rimborso (ad esempio assicurativo); sono fondamentali per studiare i meccanismi che provocano il danno e quindi prevenirli; consentono di conoscere e monitorare vulnerabilità ed esposizione. Ad esempio, i dati di impatto vengono usati per salvare vite umane ed aiutare le comunità a ritornare alla normalità dopo un disastro, ma, a seguito di terremoti, alluvioni o eruzioni vulcaniche, sono stati utilizzati anche per sviluppare curve di fragilità e danno, correlando così le caratteristiche degli edifici con il grado di danno potenziale.
Il report sottolinea però la mancanza della dovuta attenzione verso i dati: “Nonostante i vantaggi che portano, la raccolta e la condivisione dei dati non sono una priorità, e gruppi ed istituzioni ancora non agiscono in maniera coordinata al riguardo. I dati non sono disponibili prontamente o non sono accurati e consistenti fra le diverse sorgenti, il che ostacola il loro utilizzo per diversi scopi.”
Cambiamenti climatici
Più attenzione all’analisi e alla gestione del rischio è dunque una richiesta degli autori del report, la cui conclusione sottolinea quanto queste siano fondamentali proprio nel momento presente: “Quello che abbiamo vissuto durante il lockdown, e che stiamo ancora sperimentando, è solo una pallida anticipazione degli shock sistemici che il clima e i cambiamenti ambientali a livello globale potrebbero causare e causeranno in futuro.
I futuri miglioramenti nella valutazione del rischio dovranno essere incentrati su una migliore comprensione delle perdite economiche indirette e delle ripercussioni negative generate dai cosiddetti eventi ‘a lenta insorgenza’ (slow-onset hazards), dai rischi composti e dai rischi a cascata, oltre che sulle perdite causate dalla perturbazione e interruzione delle reti sociali, dei flussi economici e dei servizi ecosistemici. […] Solo avvalendoci di valutazioni multi-rischio affidabili e basate sull’esperienza potremo conciliare la ripresa a breve termine ‘ricostruire meglio’, con uno sviluppo resiliente al clima di medio e di lungo termine.”