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Cingolani: “addio al gas russo nella seconda metà del 2024. Rinnovabilisti? Impossibile installare 60kW di potenza rinnovabile in 3 anni”

Aspra la risposta delle associazioni alle dichiarazioni del Ministro della Transizione ecologica

Addio al gas russo entro la seconda metà del 2024. I rinnovabilisti? Non sono un ostacolo, però alcuni gruppi prendono posizioni tecnicamente indifendibili“. Così ha risposto il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani alle domande del direttore di La Repubblica Maurizio Molinari al Green&Blue Festival del gruppo Gedi. Alle affermazioni di Cingolani è seguita una risposta, piuttosto netta e critica, delle associazioni ambientaliste che hanno ribadito la necessità di una svolta vera verso le rinnovabili, attraverso un’adeguamento dell’Italia rispetto agli obiettivi internazionali e una politica chiara e lineare che permetta la disintossicazione dal petrolio una volta per tutte.

Cingolani: addio al gas russo nella seconda metà del 2024. Installare 60kW di potenza rinnovabile in 3 anni non è possibile

Bisogna aumentare fortemente le rinnovabili: pensiamo oltre al solare e all’eolico, idroelettrico, geotermico, biomasse e synthetic fuels, e togliersi dai piedi il carbone e quanto meno sostituirlo col gas da subito, cosa che l’Italia ha già fatto da molto tempo. Per dare un’idea 1kWh prodotto da carbone oggi produce circa 1000 grammi di CO2. Lo stesso kWh col gas ne produce circa 300-350 grammi. Con le rinnovabili si va dai 10 ai 30 grammi con solare ed eolico, poi nucleare 5-8 grammi di CO2. Si dovrebbe andare verso le rinnovabili immediatamente” – ha spiegato Roberto Cingolani, ministro della transizione ecologica.

Rispetto al gas russo “dipendiamo per circa il 40% delle importazioni, con 30 miliardi di metri cubi di gas ogni anno. Dipendiamo di meno dal petrolio russo e abbiamo pochissimo carbone, abbiamo maggiore diversificazione, abbiamo fatto i compiti da tempo. Qui è chiaro che paghiamo degli errori storici: negli ultimi 20 anni, l’Italia pur avendo del suo gas, nel 2000 ne produceva oltre il 20% del proprio gas in casa. Da 20 anni siamo passati dal 20% al 3%. Ambientalmente sarebbe stata un’ottima notizia, peccato che abbiamo mantenuto il consumo costante (76 miliardi di metri cubi l’anno circa). Quindi abbiamo aumentato l’importazione, con il doppio svantaggio di perdere posti di lavoro e pagarlo di più, senza vantaggio ambientale“.

Il 2023 è troppo presto” spiega Cingolani, per dire addio alle importazioni di gas della Russia. “Abbiamo siglato degli accordi con 6 stati africani dove ci sono giacimenti in cui la nostra oil&gas nazionale ha investito, 25 miliardi di metri cubi che andrebbero a rimpiazzare quelli russi. Le forniture partiranno quest’anno, ma segue una curva che parte importando qualche miliardo di metri cubi fino ai 18 del 2023 e ai 24-25 del 2024. Dalla seconda metà del 2024 potremo quindi fare a meno dal gas della Russia. Metà di questo gas verrà immesso nei gasdotti, metà sarà liquefatto e portato via nave. Per poter fare questo porteremo al 100% della capacità i 3 rigassificatori italiani (oggi lavorano al 60%), e ne installeremo due nuovi galleggianti, e quindi reversibili. I 5 miliardi di metri cubi restanti verranno risparmiati grazie all’aumento delle rinnovabili, che stanno salendo notevolmente, e attraverso una politica di risparmio“.

Rispetto ai “rinnovabilisti“, il ministro Cingolani ha dichiarato che “non sono un ostacolo, però ci sono alcuni gruppi che prendono posizioni tecnicamente indifendibili. Di recente è circolata una ipotesi secondo cui si potrebbero installare in 3 anni 60 Gw di potenza rinnovabile, prevalentemente solare ed eolico tra l’altro. Su altre fonti, anche i rinnovabilisti ci dicono che ci vuole un po’ più di tempo per l’installazione. Allora, quello che mi limito ad osservare è che innanzitutto possiamo anche fare una accelerazione di questo tipo. Si voleva un commissario con pieni poteri che saltasse tutte le regole autorizzative. Ma la realtà è che non basta mettere l’impianto. Soprattutto perché esistono aree del Paese in cui c’è vento e sole. E lì si concentrano tutte le proposte di impianti. Ma se ce ne metto uno, le altre non possono più perché ho occupato lo spazio. E’ inutile quindi fare la somma di tutte le proposte che ci sono. Se una vince le altre no. Se installassimo questi impianti dove c’è più sole e più vento dobbiamo chiederci: l’uso di questa energia non è locale, ma viene richiesta in zone lontane. Ci vuole una rete intelligente in grado di localmente sopportare grandi carichi e smistarli all’ora giusta, al momento giusto e lontano. Solare ed eolico, ricordo, producono da 1500 a 2000 ore di energia l’anno. L’anno ha 8600 ore. Quindi se produco energia per 2000 ore, devo sapere anche come accumularla. Allora quindi mi servono batterie. Oggi dare sufficiente accumulo per gestire 60 GW, richiede miliardi di euro per le infrastrutture. Bisogna lavorare sulla rete, sugli accumuli. Non si può raccontare che si fa in 3 anni, non è vero. Dobbiamo accelerare moltissimo, siamo tutti d’accordo. Ma deve essere sostenibile tecnicamente anche l’offerta si deve adeguare, e forse non solo su solare ed eolico. Ora infatti stanno lavorando anche su fonti più continue che fanno 7000-8000 ore l’anno, come ad esempio l’energia geotermica. Stiamo provando ad allargare. Se fosse stato facile l’avremmo già fatto. Un po’ di problemi è normale che ci siano“.

La vera sfida della transizione ecologica è che deve essere anche giusta – continua Cingolani-. Sarò chiaro: si potrebbe persino andare più veloci in certi casi, ma sarebbe un massacro sociale. Andare troppo piano sarebbe un massacro ecologico, persino più pericoloso perché globale. E’ una maratona, non una gare dei 100 metri. Il Pnrr ci dà 5 anni, ma la transizione si misura al 2050. Cinque anni su 30 sono un sesto: sono come un motore di un missile che deve dare la giusta potenza e la giusta traiettoria. Speriamo di fare un buon lavoro. Per gli altri cinque sesti del percorso, questo missile dovrà andare con le sue forze, con il suo pilota. Dovrà seguire la rotta giusta e variarla in funzione degli imprevisti e delle nuove tecnologie“.

Oggi siamo in un’economia di guerra, non più di mercato. Ciononostante questa non deve essere una scusa, ma uno stimolo per mantenere la barra dritta sull’impegno anche abbiamo preso. Dobbiamo ricordarci che l’Italia, che è meno dell’1% della popolazione globale, fa poco meno dell’1% dei gas serra, ma produce 8-9%. Possiamo i più verdi e puliti del Pianeta, ma siamo mezzo miliardo di persone e produciamo relativamente poco. Ci sono Paesi che producono 20-25% di gas serra, miliardi di persone. Convincere loro a fare quello che stiamo facendo noi è complesso“.

Le reazioni delle associazioni come WWF, Legambiente, Kyoto Club, Greenpeace

All’intervento di Cingolani è seguito un confronto a 8 delle associazioni, che hanno commentato quanto appena dichiarato dal ministro. Stefano Ciafani, presidente di Legambiente ha commentato “si continuano a dare segnali sbagliati. Si continua ad andare molto veloci sui combustibili fossili e si va a velocità più bassa sulle rinnovabili. Poi sinceramente la battuta sui rinnovabilisti continuo a non capirla“.

Alessandra Prampolini, presidente di WWF Italia ha commentato “sicuramente ci sono alcuni fattori positivi, come dimostra la maggiore consapevolezza sulla conveniente della rinnovabili. E’ interessante notare come i 60 gW in tre anni citato dal ministro è un dato che non esce dal tavolo che tutti noi qui rappresentiamo, ma esce da Confindustria. Quindi evidentemente questa consapevolezza c’è e il ministro in qualche modo ne fa da portavoce. Sento sempre però parlare troppo poco di territorio, natura e ambiente in questi interventi. Parlare di transizione energetica e non di transizione ecologica è una domanda che ci dobbiamo porre“.

Viviamo in un paradosso unico – commenta Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia. Abbiamo una coalizione di ambientalisti che ha fatto delle proposte. Un soggetto di Confindustria dice che tali proposte si possono fare in 3 anni anziché in 10, e il ministro, invece di aprire un tavolo tecnico, invitare a scoprire la carte e a vedere come fare una proposta che viene dalle aziende, li taccia come lobby rinnovabilista, espressione usata da quelli che per decenni hanno fatto campagna contro le rinnovabili. Il vero problema è che il ministro continua a confermare il fatto che è un ministro della finzione ecologica, ed è paradossale che in Italia non si apra un dibattito politico e che le proposte di un soggetto confindustriale non siano nelle prime pagine dei giornali e siano oggetto di un confronto tecnico serrato. E’ assurdo“.

Anche io sono stato un po’ urtato dalle affermazioni del ministro – confessa Simone Molteni, Direttore scientifico di Lifegate. Sottolineare le complessità tecniche ci sta, ma chi se ne occupa da decenni sa che ci sono delle complicazioni. Ma dall’altra parte a me sentir dire che ci sono difficoltà tecniche quando ancora per fare un impianto a biometano ci vogliono 6 anni per avere autorizzazioni, credo che ci sia un problema. Ci sono difficoltà tecniche ma anche cose facili da fare, e forse si potevano già fare nell’anno passato“.

Capisco lo sforzo del governo – commenta Pierluigi Stefanini, Presidente ASviS la situazione è difficile e oggettivamente complessa. Ma dalle parole del ministro scaturiscono dei problemi chiave. Il primo è quello della programmazione. Abbiamo analizzato il Pnrr alla luce degli obiettivi dell’Agenda 2030 e non ci siamo. Dobbiamo fare un salto di qualità. Non c’è un piano della transizione ecologica. Il secondo è quello della partecipazione: intendo soggetti privati, cittadini, organizzazioni, ambientalisti. La sfida è urgente, non abbiamo più tempo da perdere”

Secondo Edoardo Croci, Presidente di Italia Nostral’Articolo 9 della costituzione mette sullo stesso piano Paesaggio e tutela del Patrimonio storico e artistico, aggiunge anche ambiente, biodiversità ed ecosistemi. Portare avanti politiche che tengano conto di questi aspetti richiede un intervento complessivo del governo. Ci vuole grande equilibrio”

“I ritardi sono evidenti – commenta Edo Ronchi, ex ministro dell’Ambiente e Presidente Fondazione Sviluppo Sostenibile. Conta molto la visione, la convinzione. Le faccio un esempio. Il ministro tedesco per lo sviluppo economico ed il clima che ha presentato il piano tedesco, molto più avanzato di quello italiano, ha fatto questo paragone: ormai nelle regioni avanzate del Mondo la politica della transizione climatica ed ecologica sarà quella che regolerà la competitività del futuro e noi vogliamo guidare questo cambiamento per essere l’economia più competitiva del futuro. Se invece dici che “siamo solo l’1%, non possiamo fare di più, attenti ai costi”, hai un atteggiamento attendista e retrogrado rispetto a questa sfida che devi interpretare come grande opportunità. Secondo me a Cingolani manca questa convinzione e questa visione“.

Ronchi diceva giustamente che l’Italia, a differenza della Germania, ha sempre una posizione difensiva – commenta Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club. La Germania aveva già alzato gli obiettivi, e dopo l’aggressione all’Ucraina ha detto di voler raggiungere il 100% con le rinnovabili al 2035. Questo mi aspetterei dall’Italia. Perché lo fanno i tedeschi? Per dare un’opportunità alle proprie industrie. Noi diamo incentivi alle auto a benzina e gasolio, siamo gli unici in Europa. E’ una posizione che non fa bene all’Italia. La lobby dei rinnovabilisti è questa [indicando le associazioni presenti], quella è Confindustria. La Germania farà 63 gW in 3 anni, lo vogliono fare e lo dice il governo. La cosa da fare è aprire un dialogo: non parlare con loro mi sembra una cosa veramente blasfema“.

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Redazione

Redazione giornalistica composta da esperti di clima e ambiente con competenze sviluppate negli anni, lavorando a stretto contatto con i meteorologi e i fisici in Meteo Expert (già conosciuto come Centro Epson Meteo dal 1995).

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