Energia, anche per l’Italia è corsa al Gas naturale: così facendo stiamo compromettendo le strategie di mitigazione climatica
La crisi energetica nata in seguito alla guerra tra Russia e Ucraina, sta spingendo i governi a compiere manovre impulsive che mettono a rischio gli obiettivi climatici. Il report di Climate Action Tracker
In questo momento storico di profonda crisi geopolitica, economica ed energetica non possiamo dimenticarsi di quella climatica. Oggi, di fronte a questa tempesta perfetta, abbiamo l’occasione di attuare una rivoluzione verde che ci faccia dire per sempre addio a gas e petrolio, e che ci permetta finalmente di limitare il riscaldamento globale allo soglia degli 1,5 gradi. Purtroppo però molti Paesi, inclusa l’Italia, stanno di nuovo ricascando nello stesso sistema di approvvigionamento, dando vita ad una nuova “corsa all’oro“, con nuovi progetti, nuovi gasdotti e rigassificatori. A lanciare l’allarme è il Climate Action Tracker, che spiega come stiamo correndo il rischio di finire in un nuovo decennio ad alte emissioni, che renderebbe irraggiungibile l’obiettivo dell’Accordo di Parigi. Secondo le analisi del CAT, con le politiche attuali viaggiamo verso un riscaldamento globale di 2,7 gradi entro fine secolo.
Energia, la Guerra tra Russia e Ucraina ha dato il via ad una nuova “corsa all’oro”, ma andiamo nella direzione sbagliata: gli obiettivi climatici sono a rischio
In particolare, nel rapporto, vengono messi in luce tutti i progetti per la produzione di gas fossile e per la costruzione di nuove infrastrutture. In particolare Germania, Italia, Grecia e Paesi Bassi hanno deciso di ampliare le infrastrutture dedicate alle importazioni di GNL (Gas Naturale Liquefatto), che aumenterebbe gli importi europei di gas di un quarto rispetto a prima.
Il Canada sta lavorando per aumentare le esportazioni, e gli Stati Uniti hanno firmato un accordo per aumentare le esportazioni di GNL verso l’Europa. La stessa cosa sta avvenendo in Qatar ed Egitto, che hanno siglato nuovi accordi rispettivamente con la Germania e l’Italia. All’Italia, inoltre, arriverà più GNL anche dall’Algeria. Nel continente Africano si sta lavorando a rimettere in uso gasdotti vecchi, e Paesi come il Senegal vengono incoraggiati per fornire gas all’Europa.
La produzione di combustibili fossili sta aumentando negli Stati Uniti, in Canada, in Norvegia, Italia e Giappone, e vengono firmati o prolungati nuovi contratti per le importazioni a lungo termine nel Regno Unito e in altri Paesi d’Europa, come Germania, Polonia e Italia.
Se tutti questi contratti dovessero andare in porto potrebbero incatenarci a “stranded asset“, ossia investimenti destinati a perdere di valore, oppure potrebbero traghettarci verso un riscaldamento globale irreversibile, avvisa il Climate Action Tracker.
Il gas naturale non infatti è un carburante ponte o di transizione verso fonti più pulite: il gas porta con sé emissioni elevate. Se consideriamo l’intera catena del valore, potrebbe in qualche caso avere emissioni perfino più alte del carbone nella produzione di energia. Nel 2019 il GNL ha rappresentato il 12% dei consumi di gas e il 17% delle emissioni legate al gas naturale. Bisognerebbe ridurre quindi l’uso di GNL, non promuoverlo o addirittura investire altre risorse.
I governi dovrebbero infatti smettere di investire nell’espansione delle infrastrutture legate ai combustibili fossili, disincentivarne la produzione. Nel frattempo dovrebbero aumentare l’installazione delle rinnovabili e la produzione di idrogeno verde, investire nelle rinnovabili, ridurre i sussidi per petrolio e gas e aumentare o introdurre la carbon tax quando i prezzi scendono. Bisognerebbe incentivare un cambio di abitudini dei cittadini, con un minore uso di auto, una riduzione del limite di velocità e una maggiore consapevolezza sull’uso di riscaldamento e climatizzatore nelle proprie case e negli uffici e puntare sull’elettrificazione dei trasporti e delle industrie.
Secondo l’analisi di Climate Action Tracker, infatti, i governi si stanno affrettando a risolvere la crisi energetica attuale compromettendo però le strategie di mitigazione climatica del lungo periodo.
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