Energia Nucleare: pro e contro. Sicurezza, scorie e impatti dei cambiamenti climatici
È davvero necessaria per la transizione verso un sistema energetico a basse emissioni di carbonio o possiamo farne a meno?
Nei due articoli “Energia Nucleare: pro e contro. Emissioni, costi e tempi” e “Stabilità della rete elettrica: il ruolo del nucleare e le alternative” abbiamo approfondito vantaggi e svantaggi dell’uso del nucleare dal punto di vista delle emissioni climalteranti, dei costi, dei tempi di realizzazione e della stabilità della rete elettrica. Qual è la situazione, invece, riguardo alla sicurezza, alle scorie e agli impatti dei cambiamenti climatici?
Sicurezza
Il nucleare è associato alla proliferazione di armi nucleari. La maggior parte dei paesi al di fuori dell’Europa che utilizzano l’energia nucleare hanno cercato di sviluppare una bomba.
Riguardo invece al rischio di accadimento di incidenti catastrofici, contrariamente a quanto si possa pensare il nucleare è uno dei metodi più sicuri di produzione di energia: ad eccezione di Chernobyl, gli altri incidenti nucleari non hanno registrato un alto numero di vittime legate alla radiazione. La stragrande maggioranza delle circa 20mila vittime di Fukushima sono dovute direttamente alle calamità naturali verificatesi. Non solo, il nucleare, sostituendo le fonti fossili, ha permesso negli anni di risparmiare 1.84 milioni di vite, che sarebbero state altrimenti perse a causa dell’inquinamento dell’aria (inquinamento che oggi uccide quasi 9 milioni di persone l’anno).
Anche la vicinanza di una centrale nucleare ai centri abitati non deve preoccupare: le centrali sono progettate affinché la radiazione emessa nei loro dintorni sia ben più ridotta (alcuni ordini di grandezza) della radioattività naturale. Non dimentichiamo infatti che ognuno di noi è quotidianamente esposto alle radiazioni prodotte naturalmente dagli oggetti che ci circondano, dal cemento alle banane, per non parlare degli usi diagnostici e dei viaggi in aereo.
Acqua e impatti dei cambiamenti climatici
Le centrali nucleari richiedono grande quantità di acqua per poter essere costantemente raffreddate: vengono quindi in genere costruite accanto al mare, ai laghi o ai fiumi. A causa dell’aumento delle ondate di calore dovuto ai cambiamenti climatici, nei giorni più caldi – specie se a seguito di periodi secchi con portate dei fiumi ridotte – è sempre più spesso necessario tagliare la loro produzione o addirittura fermarla, in quanto non è possibile raffreddarle adeguatamente. È accaduto ad esempio alle centrali francesi e tedesche durante i picchi di calore nell’estate 2019, con contrazioni registrate della produzione nucleare francese dell’8%.
Se l’energia prodotta da centrali termiche (anche carbone e gas hanno lo stesso problema) è rilevante, tali riduzioni potrebbero causare non pochi problemi, soprattutto nel clima che ci aspetta. Questi malfunzionamenti sarebbero infatti concentrati proprio nei momenti di massima richiesta di elettricità per il raffrescamento: momenti in cui la rete elettrica è più vulnerabile e in cui la capacità di queste centrali di attivarsi al bisogno sarebbe più richiesta e letteralmente vitale per la popolazione.
Le centrali nucleari vicine al mare, inoltre, rischiano di essere sommerse a lungo termine a causa dell’aumento del suo livello medio.
Esse potrebbero rivelarsi insomma, almeno in estate, una fonte di energia meno stabile o affidabile di quanto si creda.
Innovazione
La nuova tecnologia più promettente riguarda i piccoli reattori: attualmente nel mondo esistono un paio di prototipi e un solo reattore funzionante in Russia. Stefano Monti, capo della sezione di Sviluppo della tecnologia dell’energia nucleare presso la AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), ha recentemente dichiarato in un’intervista a Repubblica che centrali a scala ridotta migliorerebbero la sicurezza. In particolare, secondo Monti, con potenze ridotte il rischio legato alla radioattività in caso di incidente sarebbe minore. Potrebbero inoltre essere sufficienti sistemi di circolazione naturale dell’acqua di raffreddamento: la pompa per spingere l’acqua – se non c’è – non si può rompere né può trovarsi a corto di energia (come successo a Fukushima).
Tali piccoli reattori possono anche essere utili in zone remote o in paesi in via di sviluppo, che non dispongono ad esempio di una rete elettrica sufficientemente evoluta per una centrale più grande, con però implicazioni negative sul rischio di proliferazione di armi nucleari.
Scorie
Ultima, ma non meno importante, l’annosa questione della gestione delle scorie radioattive.
I rifiuti radioattivi si dividono fra quelli a bassa attività e quelli ad alta attività. I primi sono prodotti dalla diagnostica medica, dai centri di ricerca, dall’industria, o sono materiali contaminati derivanti dalle attività dei reattori (dagli indumenti protettivi degli operatori ai residui del trattamento dell’acqua di reattore). La radioattività di questi rifiuti raggiunge valori trascurabili in circa 300 anni. Per essi esistono già circa 140 depositi sicuri nel mondo e anche l’Italia si sta muovendo per crearne uno.
Quelli ad alta attività, invece, sono soprattutto costituiti da combustibile nucleare esausto e alcuni dei costituenti decadono in decine di migliaia di anni. Si tratta di materiale estremamente caldo e radioattivo che deve essere trattato con sistemi da remoto. La questione del loro smaltimento è dunque chiaramente molto più complessa di quella che riguarda i rifiuti a bassa attività. Per risolvere il problema sono necessari depositi geologici: depositi permanenti profondi dai 200 ai 1000 m, che dovrebbero garantire resistenza a qualsiasi sconvolgimento politico, sociale o ambientale – cambiamenti climatici, guerre etc. – per tempi scala geologici (almeno centinaia di migliaia anni), senza richiedere alcuna manutenzione. Queste scorie dovranno essere collocate in un deposito comunitario. L’Europa, però, non ha ancora trovato un accordo al riguardo.
[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Per approfondire la situazione in Italia leggi:
Rifiuti radioattivi, Legambiente: «In Italia 31mila metri cubi in 24 impianti»
Scorie nucleari, nessuno vuole il deposito: cosa succede ora?[/box]
In conclusione
Rimane però ancora un nodo da sciogliere: rinunciando al nucleare, quanto è concreto il rischio di sostituire costose ma pulite infrastrutture del nucleare con infrastrutture del gas di altrettanta lunga durata, anziché con le rinnovabili? Anche il gas, infatti, richiede ingenti investimenti iniziali e tali strutture, benché vendute spesso come infrastrutture di “transizione”, rimarrebbero come zavorra ad impedire la transizione rinnovabile stessa ben oltre il “periodo di transizione”. Non dimentichiamo che la questione della resilienza della rete potrebbe facilmente portare anche i decisori più virtuosi a favorire investimenti sbagliati nel gas e che i meccanismi di lobbying dell’industria del fossile sono già ampiamente attivi a tal proposito.
La generazione a gas emette ben la metà dei GHG del carbone: è quindi ben lontano dall’essere low-carbon e di certo impedirebbe qualsiasi obiettivo allineato con gli accordi di Parigi. Non solo, il gas è inquinante e porterebbe di conseguenza con sé centinaia di migliaia di vittime.
Per non passare dalla padella alla brace, evitare di inserire il nucleare nel mix energetico dell’immediato futuro può essere ragionevole solo a patto che gli investimenti vengano allocati nelle rinnovabili e nel settore ricerca e sviluppo per le tecnologie più innovative capaci di efficientare e/o colmare quei gap relativi alle infrastrutture di rete e alla natura intermittente di molte rinnovabili.