Afghanistan, dove si sopravvive ai talebani e alla crisi climatica
Estremizzazione climatica, crisi idrica e dominio dei talebani. L'Afghanistan è quel paese dove donne, bambini e i loro diritti vengono calpestati dall'uomo e colpiti dalla natura
La vita riparte da una donna, così scrive Pangea Onlus – l’organizzazione no profit che dal 2002 lavora per favorire lo sviluppo economico e sociale delle donne – ma in Afghanistan le donne sono sempre più minacciate dal dominio dei talebani e l’intero Paese più che verso la vita si avvia verso l’orlo di una rovina irreversibile. Qui Pangea continua il suo lavoro con non poche difficoltà, alcune dovute anche alle condizioni climatiche del paese, duramente colpito da anni di carestia dovuti a periodi prolungati di siccità estrema e oggi alle prese con quello che si sta classificando come l’inverno più rigido del decennio.
Con il ritorno al potere nel 2021, i talebani hanno dato il via ad una nuova era di violenze e violazioni dei diritti umani. Hanno sistematicamente smantellato le istituzioni chiave per la protezione dei diritti umani e i diritti fondamentali delle donne e delle ragazze sono stati soppressi. L’allontanamento dalla vita pubblica delle donne è stata una rapida escalation. Le proteste contro il divieto di istruzione risuonavano ancora il 24 dicembre, quando il ministero dell’Economia ha diffuso una nuova ordinanza con il divieto alle donne afgane di lavorare per ONG nazionali e internazionali. Le donne afgane costituiscono tra il 35 e il 40 per cento della forza lavoro delle ONG, che a loro volta aiutano a realizzare l’80 per cento delle attività umanitarie in Afghanistan. Queste donne sono parte integrante delle operazioni di aiuto in Afghanistan che sta vivendo la più grande crisi umanitaria del mondo, con 26,1 milioni di persone, più di due terzi della popolazione, che dipendono dagli aiuti salvavita.
Le nuove norme sociali rendono difficile aiutare proprio le donne senza personale femminile. Dopo decenni di guerra, l’Afghanistan ha milioni di vedove, molte delle quali dipendono dagli aiuti per la loro sopravvivenza e quella dei loro figli. Anche per questa ragione «Pangea ha scelto di continuare a lavorare in Afghanistan e non ha mai smesso»- ci spiega Silvia Redigolo – Responsabile della comunicazione e raccolta fondi di Pangea Onlus – «L’attività è andata a modificarsi per garantire la sicurezza sia degli attivisti che delle beneficiarie, il nostro progetto proprio perché si sta verificando questa emergenza dovuta al freddo e alla fame, già dall’anno scorso si occupa della distribuzione di cibo, beni di prima necessità, coperte, eccetera. Questo lavoro lo continuiamo a fare con personale maschile e rivolgendoci al nucleo familiare». Il lavoro da fare è tanto, secondo il report dell’International Crisis Group di Febbraio 2023 sono state segnalate riduzioni degli aiuti per 11,6 milioni di donne e ragazze, sebbene in alcuni casi le interruzioni fossero temporanee.
Il territorio afghano è un territorio prevalentemente montuoso e le aree montane risultano particolarmente difficili da raggiungere, soprattutto in condizioni meteorologiche che vedono neve e gelo, «ma ormai la povertà si vede anche in Kabul – non solo nelle zone montuose più isolate – prima c’era una netta differenza tra quella che era la città e le zone limitrofe, oggi per diverse ragioni tutti stanno affrontando una emergenza. La difficoltà di raggiungere le famiglie e lavorare portandogli gli aiuti, è dovuta alla presenza di diverse fazioni di talebani e poi c’è la presenza sul territorio dell’ISIS che inevitabilmente rallenta il lavoro umanitario».
Guerra e fame nell’inverno più freddo degli ultimi dieci anni, con temperature che sono scese anche al di sotto dei -30 °C ma, come ci ricorda anche Silvia, «l’Afghanistan arriva anche da quattro anni di siccità e di carestia». L’Afghanistan è uno dei paesi più vulnerabili alla crisi climatica, che sta causando un aumento dei periodi prolungati di siccità seguiti da precipitazioni irregolari, con conseguenti stati di siccità ed inondazioni. Circa il 70% della popolazione afgana vive e lavora nelle zone rurali, principalmente nelle fattorie, e il 61% di tutte le famiglie ricava un reddito dall’agricoltura secondo Jobs from Agriculture in Afghanistan della Banca mondiale. Pertanto la popolazione totale rischia di affrontare crescenti minacce causate da condizioni meteorologiche estreme essendo dipendente dall’agricoltura per la sopravvivenza.
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La popolazione dell’Afghanistan è di 39,8 milioni di persone e l’UNICEF riferisce che il 47,7% della popolazione ha meno di 15 anni. Il 70% di questi bambini è a rischio a causa della crisi climatica. Anche l’accesso all’acqua pulita sta diventando ogni giorno più difficile, con i bambini che camminano per ore per raccogliere l’acqua per le loro famiglie o, in alcuni casi, bevono acqua sporca, esponendosi al rischio di malattie mortali. Le infrastrutture idriche sono minime: l’Afghanistan ha solo due chilometri cubi di capacità di stoccaggio in dighe e simili, l’equivalente del 7% del vicino Pakistan e del 5% dell’Iran. Il finanziamento di progetti di gestione dell’acqua farebbe molto per soddisfare i bisogni primari di milioni di afghani, ma molti di questi progetti sono stati bloccati con l’istaurarsi del regime talebano.
L’isolamento a cui i talebani stanno costringendo il paese mina gli sforzi umanitari e di sviluppo restringendo gli aiuti dell’occidente, da cui il territorio dipendeva fortemente: «Non c’è stato un riconoscimento ufficiale dello stato talebano per cui questo ha indubbiamente un impatto, l’Afghanistan viveva tantissimo degli aiuti umanitari. I talebani continuano ad emanare norme che vanno ad impattare nel lavoro delle ONG, tante attività che vengono fatte con le donne e per le donne non possono più essere fatte. Le uniche occupazioni che le donne possono ancora svolgere sono quelle legate alla sanità».
Se ancora è concessa la presenza delle donne all’interno del settore sanitario, non è lo stesso per l’istruzione. «Le donne non possono più lavorare nell’educazione. Le scuole ora sono chiuse, anche a causa dell’inverno rigido, ma ci chiediamo come Pangea se poi ci sarà una riapertura quando le temperature lo permetteranno. In Afghanistan non sono permesse le classi miste, questo vuol dire che nelle classi in cui insegnavano le donne alle bambine, non sarà possibile per queste bambine riprendere la scuola».
Le donne di fatto non possono più studiare e non possono più lavorare in Afghanistan e questo ha un impatto sullo sviluppo dell’intera società. «Quando si va a limitare il lavoro delle donne e la loro indipendenza economica, questo impatta su tutta l’economia. Non solo quella della famiglia, ma quella dell’intero Paese. Ma questo vale per tutto il mondo, anche per l’Italia. Pangea facendo la distribuzione di aiuti umanitari, ad esempio, sceglie di non esportare per diversi motivi: in primis perché mandare diversi container in Afghanistan sarebbe costosissimo e non potremmo garantire di raggiungere davvero i nuclei più bisognosi, e poi perché preferiamo acquistare sul territorio proprio per mantenere viva l’economia locale che altrimenti sarebbe davvero condannata alla fine».
Come ricorda Amnesty International: Rischiare la vita. Ecco cosa significa nascere bambine in alcuni paesi del mondo. In altri, significa affrontare una vita piena di ostacoli. In tutto il mondo, significa vivere in una società che le esclude o le pone ai margini in maniera strutturale. Secondo le Nazioni Unite, questa situazione può essere aggravata ulteriormente dalla crisi climatica e dagli effetti da essa derivanti. Per questo motivo è sempre più urgente continuare ad esercitare pressione sui governi perché intraprendano azioni concrete per contrastare la crisi climatica e continuare a sostenere le azioni umanitarie come quella Pangea Onlus, perché non può esserci sviluppo sostenibile del Pianeta nel suo insieme, senza equità di genere e libertà delle donne.
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