Gli scienziati hanno scoperto che i grandi depositi di metano situati nei fondali del Mar Glaciale Artico stanno iniziando a rilasciare il loro contenuto. Il “risveglio” di questi giganti dormienti del ciclo del carbonio è un grande problema perché potrebbero contribuire ad accelerare ulteriormente il riscaldamento globale. Si sta instaurando quello che gli esperti chiamano “feedback climatico“, ossia un effetto domino che porta, in questo caso, a conseguenze sempre più negative per la crisi climatica globale.
Gli studiosi hanno rilevato quantità elevate di gas serra a 350 metri di profondità nel Mare di Laptev, mare di fronte alle coste della Siberia orientale. Nei sedimenti presenti nei fondali del Mar Glaciale Artico sono rinchiuse infatti grandi quantità di metano e altri gas, intrappolati nel ghiaccio. Oggi però questi depositi stanno gradualmente rilasciando i gas nelle acque e in atmosfera.
Secondo il team di ricercatori russi a bordo della nave R/V Akademik Keldysh la maggior parte delle bolle di metano si sta dissolvendo nelle acque, ma qualcosa sta cambiando anche in superficie. Al momento infatti sono stati rilevate concentrazioni da 4 a 8 volte più elevate del normale. Sotto il livello dell’acqua la situazione sta degenerando: gli scienziati hanno infatti rilevato, ad una profondità di circa 300 metri delle concentrazioni di metano di 1.600 nanomoli per litro, un livello 400 volte più alto del normale.
Il metano contribuisce al riscaldamento globale molto di più dell’anidride carbonica: il contributo del metano nei primi 20 anni dal suo rilascio in atmosfera è infatti 80 volte più elevato di quello derivante dalla CO2. La destabilizzazione dei gas idrati, ossia quei gas intrappolati in grandi quantità in una forma solida simile, come il ghiaccio, è uno dei quattro scenari più critici per le conseguenze sul clima. I gas idrati, infatti, costituiscono una componente significativa del bilancio del flusso di carbonio, che può determinare un significativo aumento del riscaldamento globale.
Metano in atmosfera: il processo è già iniziato
La scoperta fatta dagli scienziati apre un nuovo capitolo della crisi climatica. «Il rilascio di gas idrati – spiega Igor Semiletov dell’Accademia di Scienze in Russia – può avere serie conseguenze climatiche, ma abbiamo bisogno di effettuare altri studi».
La spedizione internazionale Siberian Shelf Study sta analizzando la situazione e cercando di quantificare il metano che giace sotto il livello dell’acqua, ma è un processo che richiederà anni. Difficile capire cosa potrebbe comportare un rilascio in atmosfera sempre maggiore di metano e CO2: l’incertezza dei modelli climatici è ancora grande. «Le concentrazioni attuali – spiega al Guardian lo scienziato dell’Università di Stoccolma, Örjan Gustafsson – non sono tali da avere ricadute sul riscaldamento globale. Ma il punto è un altro: i dati rivelano che il processo è ormai avviato».
L’artico è l’area che si sta scaldando più velocemente in tutto il Pianeta Terra: qui il riscaldamento viaggia ad una velocità doppia rispetto al resto del Mondo. Per questo negli ultimi anni è diventata una delle zone più sorvegliate e purtroppo le notizie che continuano ad arrivare descrivono un quadro sempre più preoccupante: parliamo della fusione del permafrost, della graduale scomparsa dei ghiacci marini, dell’esplosione di bolle di gas prima intrappolato sotto terra, degli incredibili incendi siberiani e dei record di caldo registrati nell’ultimo anno oltre il circolo polare artico. Tutti segnali evidenti del riscaldamento globale.