Clima Europa: le tematiche ambientali in vista delle elezioni raccontate da Luca Bergamaschi
Clima e ambiente sono tra i temi principali di confronto politico
Le Elezioni Europee sono sempre più vicine e le tematiche relative a clima e ambiente rivestiranno un’importanza sempre maggiore nelle politiche di un continente come il nostro che, in particolare nell’area del Mediterraneo, rappresenta una delle zone in cui gli effetti dei cambiamenti climatici sono maggiormente evidenti.
In vista di questo importante appuntamento, abbiamo avuto l’opportunità di confrontarci con Luca Bergamaschi, promotore dell’iniziativa Clima Europa che sostiene l’impegno per un Green New Deal europeo.
Parlaci di Clima Europa: da dove nasce e dove vuole arrivare?
Clima Europa nasce prima delle elezioni Europee con l’idea di scrivere un manifesto per un green new deal dell’Europa in modo da cercare di portare il dibattito sul green new deal in Italia, dove non è del tutto nuovo ma non è sviluppato come avviene in Paesi come gli Stati Uniti o la Gran Bretagna. Clima Europa vuole utilizzare il dibattito che si sta sviluppando intorno a questo concetto elaborandolo in chiave europea per un pubblico italiano, inteso anche come pubblico politico. Il manifesto di Clima Europa è stato sottoposto alla firma di vari rappresentanti del mondo politico, della società civile e della comunità scientifica ed è stato presentato alla Camera. Adesso l’idea è quella di dare visibilità ai contenuti anche attraverso il servizio del Bollettino Clima Europa, che ogni venerdì pubblica un resoconto degli avvenimenti più importanti in Europa e nel Mondo, che spesso vengono ignorati dai media italiani.
La politica ha un ruolo chiave nell’affrontare il problema del cambiamento climatico. Nei punti del manifesto ci chiediamo come l’Europa possa accelerare una transizione che riguarda anche un diverso rapporto tra cittadini, istituzioni e imprese, un nuovo contratto sociale che rivoluzioni il modo in cui la società si organizza.
I prossimi commissari della Commissione europea saranno chiamati a realizzare il green new deal, e fare proposte può influenzare anche il dibattito italiano che attualmente è ancora molto povero. Tuttavia bisogna notare che in Italia sta cambiando la percezione della tematica climatica, anche grazie all’impatto dei movimenti giovanili ispirati dall’attivista Greta Thunberg. L’attenzione di cittadini e media non è però a un livello sufficiente a mettere l’azione per il clima al centro delle scelte dei leader politici e delle azioni delle persone.
In vista delle Elezioni Europee, molti partiti o raggruppamenti stanno annoverando tra i loro obiettivi delle politiche ambientali. Dobbiamo vederla come una mossa da campagna elettorale dovuta alla crescente attenzione dell’opinione pubblica o come un passaggio concreto a soluzioni internazionali?
È entrambe le cose: a meno di tre settimane dal voto europeo la retorica politica gioca naturalmente un ruolo importante a livello di campagna elettorale. Tuttavia credo che ci sia anche un riconoscimento del fatto che una opportunità di creare una nuova politica di benessere e sicurezza. Inoltre c’è la percezione del fatto che se non si fa niente adesso sarà molto difficile, se non impossibile, mantenere la sicurezza e la prosperità attuale. Questo secondo me è un driver importante del pensiero politico, però non è ancora centrale come dev’essere perché stiamo parlando di un’emergenza. C’è il rischio concreto di specie animali e vegetali che avrebbe un impatto importante anche sulla vita umana. Di fronte a un’emergenza di questo calibro dovrebbe esserci una risposta politica molto più importante. Si può e si deve fare di più. In futuro sarà possibile giudicare l’azione dei decisori che saranno eletti, mentre adesso bisogna giudicare i governi attuali in base a quello che stanno facendo e alle decisioni che hanno preso.
Un recente sondaggio realizzato da Ipsos Mori e commissionato dalla European Climate Foundation ha dimostrato che gli impegni sul clima e l’ambiente saranno uno dei fattori decisivi nell’orientare il voto dei cittadini europei nelle prossime elezioni, non solo per i giovani ma anche per le persone più mature. Una situazione che troviamo anche in Italia, dove secondo il sondaggio la maggior parte dei cittadini vede come tematiche prioritarie la lotta ai cambiamenti climatici, la protezione ambientale, la riduzione dell’inquinamento e l’agricoltura sostenibile.
Attualmente come si sta muovendo l’Unione Europea?
L’Unione Europea si è mossa bene a livello internazionale, per esempio attraverso l’Accordo di Parigi e mantenendo il proprio impegno nonostante i cambiamenti geopolitici degli ultimi anni: gli Stati Uniti hanno deciso di abbandonare l’Accordo, ma l’Europa ha assunto il ruolo di “paladina” mantenendo l’impegno sul clima portando con sé tutti gli altri Paesi.
Il problema è a livello dei singoli Stati: ci sono stati progressi nel supportare la transizione energetica, ma non sono allineati a quello che l’Ue ha sottoscritto nell’Accordo di Parigi. Non sono stati fatti sforzi sufficienti ad allineare le politiche di mitigazione e adattamento agli accordi firmati.
Le decisione dell’Ue sono prese dai singoli governi europei, quindi se i governi decidono di non adottare obiettivi ambiziosi non può farlo neanche l’Europa. Per esempio, nel momento in cui Paesi come la Polonia, ma anche la Germania, bloccano l’incremento degli impegni al 2030 l’Europa si trova in una situazione di stallo dovuta a interessi interni legati soprattutto all’utilizzo del carbone. Questa situazione costringe i Paesi più ambiziosi ad accettare compromessi al ribasso perché non si riesce a trovare l’unanimità sui progetti più impegnativi. Potrebbe essere una riforma importante stabilire che, nel campo del clima e dell’energia, le decisioni vengano prese non più all’unanimità ma a maggioranza qualificata, in modo da poter procedere con obiettivi ambiziosi anche se non tutti i Paesi sono d’accordo.
In alcuni Paesi, come ad esempio la Svezia, la tematica ambientale è trasversale. In Italia invece si tende a considerarla come una questione di cui si fanno carico solo alcune fazioni politiche. Concretamente come si sta affrontando o come si deve affrontare il problema nel nostro Paese?
Almeno fino all’inizio dell’anno la politica italiana non stava facendo abbastanza: il problema del clima è un problema prevalentemente politico, perché le tecnologie sono già mature per affrontarlo.
In Italia c’è una propensione alla cura dell’ambiente e del clima molto più forte tra i partiti progressisti rispetto a partiti come Lega e Fratelli d’Italia, mentre quello del clima dovrebbe essere un tema trasversale. Realizzare la transizione energetica comporta una trasformazione di tutti gli interessi economici e di potere, soprattutto quelli legati al mondo dell’energia, che in questo momento spingono per realizzare questa transizione.
Un problema che abbiamo in Italia è che le competenze e le responsabilità su clima e ambiente sono sotto un ministero, quello appunto dell’Ambiente, che è uno dei più deboli a livello politico ed è isolato rispetto agli altri. Ci sarebbe bisogno di una riforma delle istituzioni che unisca il ministero dello sviluppo economico con quello dell’ambiente, per esempio su modello francese o su quello del Regno Unito dove ci sono ministeri che tengono insieme clima ed energia. Ci deve essere anche una unità strategica, una regia a Palazzo Chigi che curi l’allineamento agli obiettivi climatici di tutte le politiche, quindi anche infrastrutture, agricoltura e politica estera per esempio.
Senza questo passaggio in Italia le politiche del clima saranno sempre secondarie rispetto a politiche dell’energia che sono redatte dal ministero dello sviluppo economico, che è molto vicino agli interessi economici e di potere che rappresentano la vecchia economia.
L’Italia è molto dipendente dal gas, la cui industria è molto forte. C’è una retorica che addirittura favorisce lo sviluppo del gas invece di cercare di ridurlo, una narrativa che vede il gas come un “combustibile ponte” che porti all’utilizzo dell’energia rinnovabile, ma oggi siamo arrivati alla fine di questo ponte: oggi il primo competitor del gas sono le rinnovabili. Abbiamo tutte le tecnologie necessarie a sostituire il gas sia nel settore elettrico che in quello della produzione di calore. Anche i costi di queste tecnologie sono sempre più competitivi. Questo vuol dire che il bisogno di nuove infrastrutture per il gas viene meno e che le infrastrutture già esistenti sono sufficienti per accompagnare lo sviluppo delle rinnovabili che devono sostituirlo.
Con la maggiore sensibilità del pubblico su questo tema, dovuto tra le altre cose all’attivismo della giovane Greta Thunberg, sembra che anche il mondo dell’informazione stia dedicando una maggiore attenzione al cambiamento climatico. Sta effettivamente cambiando qualcosa? E cosa manca, ancora?
Sicuramente sta cambiando qualcosa, e lo vediamo anche dagli ultimi sondaggi sulle opinioni degli italiani relative al clima. I media se ne stanno accorgendo, così come i giornalisti che dedicano più tempo a queste tematiche. Ma bisogna fare molto di più sul modo in cui se ne parla, perché è necessario un approfondimento molto maggiore sulle cause, sulle conseguenze e sulle soluzioni. Bisogna essere molto trasparenti e oneste nel discutere delle conseguenze a livello economico e anche a livello di occupazione: parliamo di uno sconvolgimento radicale dei processi produttivi. È poi necessario parlare delle possibili soluzioni, anche di quello che possono fare i singoli cittadini.
Nel dibattito italiano non c’è questo livello di approfondimento e pochissimi giornalisti se ne occupano. La comunità giornalistica italiana è impreparata, sia a livello di personale che a livello di competenze. È un problema, perché i media hanno un ruolo molto importante sia per il pubblico che per la politica.