E se “nascondessimo” l’anidride carbonica nel sottosuolo?
La semplice riduzione delle emissioni di gas serra non basta più, servono strategie diverse
Molti esperti ritengono, ormai, che la semplice riduzione nelle emissioni di gas serra non possa essere sufficiente per raggiungere gli obiettivi stabiliti dalla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Una delle possibili soluzioni potrebbe essere quella di sottrarre CO2 (uno dei più importanti gas serra) all’atmosfera semplicemente immagazzinandola nel sottosuolo. In tutto il mondo sono già in funzione una manciata di progetti di stoccaggio di CO2, con obiettivo di catturare e immagazzinare fino a 3 milioni di tonnellate di CO2 all’anno.
Il progetto di stoccaggio
I siti esistenti si trovano di solito in luoghi disabitati, come il deserto algerino o sotto il Mare del Nord norvegese, ma anche le catene montuose possono diventare buoni candidati ad ospitare depositi di biossido di carbonio. La Svizzera ha avviato un nuovo esperimento nel laboratorio internazionale di Monte Terri nel massiccio del Giura, all’interno di Elegancy project . Gli scienziati svizzeri, guidati dalla dottoressa capo Alba Zappone, formatasi al dipartimento di Scienze della Terra all’Università di Milano e oggi ricercatrice presso l’ETH-università di Zurigo, hanno iniziato a pompare CO2 disciolta in acqua in uno strato di argilla impermeabile, individuato nel profondo della montagna. Se lo strato individuato possa effettivamente fungere da serbatoio dipende dalla natura intima del substrato roccioso, la CO2 pompata nel terreno potrebbe, infatti, sfuggire non solo attraverso il pozzo di immissione ma anche attraverso le fratture esistenti nella roccia. I processi fisici e chimici che influenzano se e come la CO2 possa sfuggire attraverso tali fratture sono ancora poco conosciuti. Inoltre, non è chiaro quale influenza abbiano le iniezioni di CO2 sulle deformazioni delle rocce e sulle interazioni chimiche che possono inquinare la faglia o addirittura provocare terremoti. Per questi motivi la prima fase di otto mesi dell’esperimento coinvolgerà solo un piccolo volume di CO2 (circa 500 mg), gli scienziati controlleranno la stabilità della roccia e studieranno la relazione tra spostamento del taglio, pressione dei pori e percorsi del flusso. Una serie di sensori attivi e passivi monitoreranno i cambiamenti nelle velocità sismiche vicino al sito di iniezione e rileveranno eventuali micro terremoti.
Le opinioni
«Se un giorno volessimo immagazzinare CO2 in Svizzera, che è una regione densamente popolata, dobbiamo assicurarci che la CO2 non migri in superficie e possa contaminare, ad esempio, fonti di acqua potabile. Questa è davvero una delle maggiori sfide qui», ha spiegato il professor Cristophe Nussbaum, direttore del laboratorio.
L’avvio dell’esperimento ha però suscitato le reazione negative delle organizzazioni ambientaliste come Greenpeace, preoccupate che la messa a punto di tali tecnologie possa trasformarsi in un “diritto ad inquinare” indiscriminato. «Ciò che ci preoccupa non è solo il fatto che queste tecnologie vengano sviluppate, ma vedere che nel frattempo non sono stati fatti gli sforzi necessari per limitare le emissioni di gas serra», ha detto Mathias Schlegel, portavoce di Greenpeace Svizzera.