Trovato l’accordo per la “carbon tax” sui prodotti importati in UE, ma ci sono alcune criticità
La carbon tax tra nodi da sciogliere e critiche sulla giustizia della misura: i proventi non verranno destinati a sostenere i paesi vulnerabili chiamati a pagare l'imposta
I negoziati tra il Consiglio e il Parlamento europeo hanno portato a un accordo provvisorio sul meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM), la cosiddetta “carbon tax”. La misura rientra in un provvedimento che mira a permettere all’industria europea di competere ad armi pari con i concorrenti esteri, che producono in paesi con norme ambientali più deboli.
Infatti l’industria europea deve già pagare un prezzo per la CO2 emessa, e con la carbon tax lo stesso prezzo dovrà essere sostenuto da chi esporta verso l’Unione europea ferro e acciaio, cemento, alluminio, fertilizzanti, elettricità e idrogeno. Le aziende che importano tali merci nell’UE saranno tenute ad acquistare certificati per coprire le emissioni di CO2, e altri settori saranno aggiunti nei prossimi anni. Se nella nazione di produzione è in vigore una carbon tax (come succede in Cina), gli importatori europei potranno limitarsi a corrispondere solo la differenza.
La misura punta a evitare la delocalizzazione delle imprese e la perdita di posti di lavoro nel mercato dell’Unione, ma se dovesse funzionare porterebbe benefici a tutto il mondo, con effetti significativi sul contrasto alla crisi climatica.
«Il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere è un elemento fondamentale della nostra azione per il clima», ha commentato Jozef Síkela, ministro dell’Industria e del commercio della Repubblica ceca. «Tale meccanismo promuove l’importazione nell’UE di merci da parte di imprese di paesi terzi che rispettano le norme elevate in materia di clima applicabili nei 27 Stati membri dell’UE. Ciò garantirà un trattamento equilibrato di tali importazioni, e mira a incoraggiare i nostri partner nel mondo ad aderire agli sforzi dell’UE in materia di clima».
Punti da chiarire
In virtù all’accordo provvisorio, la cosiddetta carbon tax sarà operativa dall’ottobre 2023 ma in un primo tempo prevedrà solamente l’obbligo di rendicontazione, senza un effettivo pagamento. Il meccanismo entrerà poi a regime in modo graduale.
Le tempistiche più precise di questa transizione sono tra i punti più controversi dell’accordo, e al momento non sono ancora state definite.
Tra i temi più caldi anche la scadenza dei permessi gratuiti che finora l’UE ha concesso a industrie europee estremamente inquinanti – come cementifici e acciaierie -, proprio per il timore che potessero delocalizzare la produzione.
Si prevede di lavorare ancora a ritmi serrati sui nodi ancora da sciogliere per giungere a una conclusione entro la fine di questa settimana.
Criticità della carbon tax: per Oxfam si passa «la patata bollente ai meno responsabili»
«Gli europei sono responsabili del doppio delle emissioni di carbonio rispetto alla metà più povera del mondo», osserva Chiara Putaturo, Tax Expert di Oxfam Europa. «Tuttavia, l’UE ha appena accettato di scaricare la responsabilità sui meno responsabili costringendoli a pagare una tariffa nonostante siano stati i più colpiti dalla crisi climatica».
Secondo l’Organizzazione sarebbe giusto che i proventi della carbon tax venissero utilizzati per la finanza climatica, con lo scopo di supportare i paesi più poveri e vulnerabili, soprattutto ora che dovranno sostenere i costi della tariffa. Putaturo, tuttavia, riferisce che «i paesi dell’UE non hanno accettato di incanalare le entrate verso i fondi per il finanziamento del clima».