Green Deal da mille miliardi. Ma da dove arrivano i soldi europei?
Quando leggiamo "mille miliardi in arrivo" non stiamo aspettando un treno carico di fondi, ma un cambio di binario
La crisi climatica è sui tavoli di discussione delle più alte istituzioni e dei top player economici e finanziari e questo è certo. Un po’ meno chiari restano i piani attuativi dei tanto citati Green Deal sia a livello nazionale, che a livello Europeo. Quando si parla di piani, la prima cosa che deve essere messa sul piatto sono i fondi che verranno utilizzati per attuarli ed è quello che è stato fatto alla presentazione del Green Deal europeo; il piano a sostegno dell’economia verde con l’obiettivo di raggiungere emissioni zero entro il 2050 è stato annunciato da Ursula Von Der Leyen insieme ad un fondo di investimenti che sbloccherà mille miliardi di euro, tra fondi pubblici e privati, nel corso del prossimo decennio.
Chiariamo subito che questi mille miliardi di euro non sono soldi “nuovi” che verranno immessi nelle economie, ma sono somme già presenti all’interno del budget a lungo termine dell’Unione Europea. Queste somme, sotto forma di fondi europei, bandi, cofinanziamenti e prestiti EU, verranno dunque mosse su progetti a sostegno dell’economia verde. In pratica, all’interno di programmi già esistenti, alcune quote verranno vincolate e dovranno essere riservate ad iniziative sostenibili. InvestEU (ex Piano-Junker), avrà tra i nuovi obiettivi quello di realizzare infrastrutture sostenibili, la Banca Europea per gli investimenti dovrà aumentare la quota che riserva ai progetti sostenibili, raddoppiandola dal 25% al 50% e Horizon, il programma per finanziare la ricerca della Commissione Europa, vincolerà dal 2021 un terzo delle risorse per finanziare progetti che aiutino nella transizione i singoli paesi dell’Unione.
Una parte di questi mille miliardi, non verrà dai vincoli di spesa su progetti sostenibili già esistenti ma, come riportato sul sito della Commissione, saranno fondi “nuovi”, pari a 7.5 miliardi di euro, che alimenteranno il fondo per la transizione dal 2021 al 2027. La Commissione, ad oggi, non ha precisato da dove verranno questi soldi “nuovi”, oltre a non aver considerato che comunque la cifra è soggetta ai negoziati sul budget pluriennale dell’Unione Europea, che deve essere ancora finalizzato da Commissione, Parlamento e Consiglio europeo. L’ipotesi più probabile è che questi soldi verranno anch’essi spostati da due fondi strutturali già esistenti, ovvero – per attinenza – il fondo di sviluppo regionale e il fondo di sviluppo sociale. In questo caso, si farebbero quindi dei tagli a due fondi strutturali già esistenti oppure si dovrebbero chiedere maggiori contributi ai governi nazionali attraverso versamenti a favore dell’Unione europea extra rispetto a quelli già previsti dal budget ufficiale, o più probabilmente entrambe le cose.
Céline Charveriat, direttore esecutivo dell’Istituto per le Politiche Ambientali Europee, nei mesi scorsi ha sottolineato come i piani ambiziosi per il clima hanno dimostrato come oggi la lotta ai cambiamenti climatici sia centrale a Strasburgo, un fatto «incoraggiante» per alcuni, ma basato su una strategia «ancora troppo vaga» per altri; la leader dei Verdi Ska Keller, ad esempio, ha detto di aver apprezzato la retorica, ma non il contenuto perché «troppo vago per poter essere credibile». In questi giorni si è espresso duramente in merito al Fondo per la transizione anche l’On. Carlo Calenda che si sta occupando delle necessità della politica industriale in Europa: secondo Calenda i soldi destinati al fondo sono inconsistenti ed è preoccupante la propensione alla produzione di Regolamenti su Regolamenti in assenza totale di analisi d’impatto altresì necessaria in una transizione economica sostenibile.
Se da un lato si cercano risposte e piani d’intervento strutturati, dall’altro bisogna considerare che siamo ancora in una fase piuttosto embrionale di quello che sarà un cambio radicale di rotta. Non si tratta di una transizione di piccole dimensioni, ma di una transizione che, per portare ad un risultato reale, deve essere globale. In questa fase è importante stabilire una azione coordinata e condivisa tra Unione e Stati membri. L’efficienza nel recepimento delle ambiziose politiche comunitarie determinerà il reale utilizzo dei fondi, mentre la determinazione delle regole e dei principi che identificheranno gli interlocutori legittimi per la destinazione dei fondi destinati a progetti sostenibili, determinerà la reale sostenibilità delle iniziative che vinceranno un bando. Non da meno, la sincronia con il mondo della finanza dalla quale arrivano, ad oggi, i segnali più consistenti segna così una nuova via percorribile che inevitabilmente influenzerà i mercati e di conseguenza i piani di adattamento nazionali ed internazionali.