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Migranti climatici: fenomeno in aumento, ma ancora senza riconoscimento giuridico

Il cambiamento climatico gioca un ruolo centrale nel modellare i presenti e futuri flussi migratori, ma non è tra le ragioni che definiscono giuridicamente lo status di "rifugiato"

Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), i migranti climatici sono “persone o gruppi di persone che, per motivi impellenti di cambiamenti improvvisi o progressivi dell’ambiente che influiscono negativamente sulla loro vita o sulle loro condizioni di vita, sono costretti a lasciare le loro case abituali, o scelgono di farlo, temporaneamente o permanentemente, e si spostano all’interno del loro paese o all’estero”. Questa definizione mette in luce la complessità delle cause dietro le migrazioni, dai disastri naturali alla lenta erosione delle risorse. Le migrazioni climatiche sono spesso alimentate da una combinazione di fattori naturali e sociali. L’innalzamento del livello del mare minaccia le comunità costiere e insulari, mentre la desertificazione compromette la sicurezza alimentare. Eventi meteorologici estremi come uragani e alluvioni possono distruggere infrastrutture vitali. La scarsità d’acqua è un ulteriore fattore di rischio, come evidenziato da un recente studio dell’UNEP. Nonostante la crescente urgenza, il termine “migrante climatico” non ha ancora una definizione giuridica riconosciuta a livello internazionale. La Convenzione di Ginevra del 1951 non include le migrazioni ambientali, limitando la protezione ai rifugiati che fuggono da persecuzioni politiche o sociali.

“È ora di ampliare la definizione di rifugiato per includere le migrazioni climatiche,” Prof. John Knox, esperto di diritto internazionale.

Nel dicembre 2018, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato il Global Compact per una migrazione sicura, ordinata e regolare, che riconosce le cause ambientali delle migrazioni. Sebbene non vincolante, rappresenta un passo politico significativo. A livello europeo, il Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo del 2020 presenta lacune nella trattazione dei migranti climatici, necessitando di ulteriori sviluppi normativi. Nel gennaio 2020, un passo avanti è stato compiuto quando il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha stabilito che gli Stati non possono rimpatriare individui in paesi dove il cambiamento climatico rappresenta una minaccia alla vita. Questo pronunciamento, sebbene non vincolante, potrebbe influenzare future interpretazioni legali, aprendo la strada a una protezione più robusta dei migranti climatici.

Affrontare la questione dei migranti climatici richiede un approccio multidimensionale. Alcuni esperti propongono di estendere la definizione di “rifugiato” per includere i migranti climatici, mentre altri suggeriscono accordi regionali per una protezione mirata. Investire in politiche di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico, come progetti di sviluppo sostenibile e infrastrutture resilienti, è fondamentale per ridurre la necessità di migrazioni forzate. L’azione coordinata e globale è essenziale per tutelare i diritti di queste popolazioni vulnerabili.

Leggi anche: Ancora nessuna tutela per i migranti climatici: presentato a Milano il primo progetto italiano per favorire il loro riconoscimento

Elisabetta Ruffolo

Elisabetta Ruffolo (Milano, 1989) produttrice Tv e Giornalista. Approda a Meteo Expert nel 2016 dove si occupa di coordinare le attività di divulgazione scientifica in ambito televisivo e radiofonico sulle reti Mediaset. Laureata in Public Management presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università degli studi di Milano. Ha frequentato l’Alta scuola per l’Ambiente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore per il Master in Comunicazione e gestione della sostenibilità.

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