Gli abitanti di Tuvalu si preparano a evacuare l’isola, minacciata dalla crisi climatica: siglato un accordo con l’Australia
Secondo alcune stime l’arcipelago diventerà inabitabile entro ottant’anni: l'Australia ha promesso di accogliere chi sarà costretto a fuggire
Nei giorni scorsi il governo dell’Australia e quello di Tuvalu – un piccolo stato insulare della Polinesia, nell’oceano Pacifico – hanno annunciato un accordo senza precedenti. L’Australia ha infatti promesso di accogliere tutti gli abitanti dell’arcipelago che dovranno abbandonare la propria casa per effetto i cambiamenti climatici.
L’arcipelago delle Tuvalu, costituito da nove piccoli atolli, conta solo 11 mila abitanti ed è tra i paesi del mondo più minacciati dalla crisi climatica provocata delle attività umane, e soprattutto dal conseguente aumento del livello del mare.
Con un’altitudine media di appena 2 metri sul livello del mare, Tuvalu rischia di scomparire per sempre sotto l’oceano, il cui livello sta aumentando a causa dei cambiamenti climatici. Due dei suoi atolli sono già stati in parte sommersi e, secondo alcune stime, l’arcipelago diventerà inabitabile entro ottant’anni.
Aumento del livello del mare: perché succede e quali sono le conseguenze
Per denunciare la drammaticità della situazione, l’allora ministro degli esteri aveva mandato un video-messaggio alla COP26, la conferenza ONU sul clima del 2021, mostrandosi immerso in mare fino alle ginocchia.
È per prepararsi a questo scenario drammatico che il governo di Tuvalu ha stretto un accordo inedito con l’Australia, che garantirà asilo climatico a chi sarà costretto ad abbandonare l’arcipelago polinesiano. L’accordo tra Australia e Tuvalu è stato annunciato dai primi ministri dei due Paesi, ma deve ancora essere ratificato prima di poter entrare in vigore.
Il ruolo dell’Australia
Sebbene l’accordo sia un importante passo avanti nel riconoscimento dei diritti dei migranti climatici, un tema drammatico e sempre più urgente, diversi osservatori hanno evidenziato che la decisione dell’Australia risulta poco coerente con le sue politiche climatiche poco ambiziose, e che sembra motivata da interessi economici e geopolitici più che da una reale volontà di dare sostegno alle popolazioni in difficoltà.
Nella lotta alla crisi climatica, le politiche portate avanti dall’Australia sono effettivamente state oggetto di dibattito e discussioni negli ultimi anni. A risultare critica è soprattutto la vasta produzione di carbone e gas – su cui il Paese continua a puntare nonostante le grandi quantità di emissioni climalteranti generate dall’utilizzo di questi combustibili fossili -, che in diverse occasioni è stata anche motivo di tensioni con alcuni stati del Pacifico particolarmente colpiti dalle conseguenze dei cambiamenti climatici.
Sul fronte geopolitico, l’accordo dev’essere valutato anche nel contesto della “competizione” in corso tra Australia e Cina per l’influenza sulle isole del sud Pacifico, ed è arrivato dopo che la Cina ha siglato un patto di sicurezza con le isole Salomone.
Migrazioni climatiche, servono risposte globali
Quella delle migrazioni climatiche rischia di diventare presto un’emergenza umanitaria che coinvolgerà ogni parte del mondo: per avere una risposta concreta non basteranno accordi tra singoli paesi.
Al momento in tutto il mondo ci sono già più di 100 milioni di migranti e sfollati, e sono tra le persone maggiormente a rischio per gli effetti dei cambiamenti climatici. Questo numero è destinato ad aumentare: secondo le attuali previsioni, probabilmente entro il 2030 nel mondo saranno sfollate più di 200 milioni di persone, molte delle quali saranno costrette ad abbandonare la propria causa per motivi legati alla crisi climatica. Eppure, finora si è fatto pochissimo per affrontare questa situazione e chi perde tutto a causa dei cambiamenti climatici non può ancora contare su tutele né riconoscimenti giuridici.