Clima, il ritorno di Trump alla Casa Bianca rischia di frenare la corsa contro il tempo
La vittoria di Trump negli Stati Uniti rischia di rallentare la lotta contro la crisi climatica in un momento in cui l’azione è più urgente che mai. Sarà fondamentale reagire rafforzando la collaborazione e l'impegno internazionale
La rielezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti rappresenta una nuova grande sfida nella lotta per il clima. Noto per le sue posizioni scettiche e antiscientifiche sulla crisi climatica e l’appoggio incondizionato all’industria dei combustibili fossili, il tycoon ha già dimostrato in passato una tendenza a indebolire qualsiasi regolamentazione ambientale.
La precedente amministrazione Trump è infatti stata caratterizzata da passi indietro drammatici su decine di leggi sul clima e l’ambiente, dal definanziamento dell’Environmental Protection Agency (EPA) all’abbandono dell’Accordo di Parigi, con decisioni che hanno destabilizzato progressi per la salvaguardia del clima e degli ecosistemi che avevano richiesto molti anni.
Dopo i recenti passi avanti registrati con l’amministrazione di Biden, che dopo aver riportato Washington dell’Accordo di Parigi ha approvato, tra le altre cose, la più importante legge sul clima nella storia degli Stati Uniti, la vittoria di Trump potrebbe avere effetti devastanti sulla transizione energetica in corso nel Paese maggiormente responsabile della crisi climatica, influenzando negativamente anche le decisioni di altre nazioni.
L’eredità di Trump su clima e ambiente: dal Dakota Access all’EPA
L’approccio di Donald Trump al clima è ben noto e non ha lasciato dubbi durante il suo primo mandato. Tra i primi passi alla Casa Bianca c’è stata l’autorizzazione dell’oleodotto Dakota Access, che ha annullato lo stop imposto da Obama in seguito alle proteste delle comunità indigene e ambientaliste. In seguito Trump ha ridotto drasticamente i fondi dell’EPA, ente federale incaricato di proteggere la salute pubblica e l’ambiente, e ha eliminato oltre un centinaio di regolamentazioni su emissioni e standard ambientali.
L’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, un atto simbolico e pratico di rifiuto della cooperazione globale per il clima, è stato uno dei colpi più pesanti. L’accordo, reso possibile nel 2015 dallo storico incontro tra Obama e Xi Jinping, aveva stabilito obiettivi concreti per mantenere l’aumento delle temperature globali entro 1,5°C, un limite considerato cruciale dagli scienziati per evitare i peggiori impatti della crisi climatica. Con il ritorno di Trump, la permanenza degli Stati Uniti all’interno dell’accordo sul clima potrebbe essere messa nuovamente in discussione.
Intanto, la crisi climatica avanza
Gli effetti dei cambiamenti climatici sono già drammaticamente visibili negli Stati Uniti e nel mondo: ondate di calore estremo, incendi devastanti e uragani sempre più potenti sono ormai frequenti. Quest’anno, Phoenix ha sperimentato temperature superiori a 43°C per oltre 70 giorni, e gli uragani hanno flagellato la costa sud-orientale degli USA uccidendo più di 200 persone.
Le politiche di Trump ignorano la scienza e il buon senso: se gli oceani si alzeranno, ha detto in un comizio, «avremo un po’ più di case con vista mare».
Durante la presidenza di Joe Biden, gli Stati Uniti hanno investito 1,6 mila miliardi di dollari nell’economia verde, promuovendo lo sviluppo di energia rinnovabile, auto elettriche e tecnologie pulite. La vicepresidente Kamala Harris, che ha fornito il voto decisivo per l’approvazione dell’Inflation Reduction Act, ha dichiarato che tali investimenti sono fondamentali per la transizione energetica e la riduzione delle emissioni di carbonio. Tuttavia, questi progressi potrebbero essere messi a rischio da una nuova amministrazione di Trump, che ha promesso di revocare la legge sul clima di Biden e favorire nuovamente le industrie del petrolio e del gas.
L’assenza di Washington dalla prima linea nella lotta ai cambiamenti climatici potrebbe scoraggiare gli sforzi di altri Paesi e, al contempo, ridurre l’efficacia delle politiche climatiche globali. Per l’Europa e gli altri partner dell’Accordo di Parigi, adesso la sfida si fa più complessa.
La COP29, la conferenza ONU sul clima ospitata dall’Azerbaijan dal 11 al 22 novembre, si aprirà pochi giorni dopo la rielezione di Trump, e le aspettative sono già piuttosto basse. I negoziati infatti, che le tensioni internazionali rendono già particolarmente lenti e difficili, rischiano ora di essere condizionati dalla prospettiva del minore coinvolgimento degli Stati Uniti.
La rielezione di Trump appare insomma come una spaventosa battuta d’arresto nella battaglia globale per salvare il clima e il nostro futuro, ma sarà fondamentale reagire rafforzando la collaborazione e l’impegno, mantenendo alta l’attenzione sull’azione climatica e mobilitando tutte le risorse possibili per impedire un ritorno al passato.