Premio Pulitzer assegnato per la prima volta ad un reportage sui cambiamenti climatici
Il vincitore è un progetto del Washington Post dedicato ai luoghi che, riscaldandosi più velocemente della media globale, hanno già raggiunto la pericolosa soglia dei 2°C
È la serie di reportage del Washington Post 2°C: Beyond the Limit – 2°C: oltre il limite – a vincere il premio Pulitzer 2020 nella categoria Explanatory reporting. Si tratta del più prestigioso premio al mondo in ambito giornalistico, che per la prima volta viene assegnato a un’inchiesta dedicata al cambiamento climatico.
Il premio Pulitzer è stato istituito dall’editore Joseph Pulitzer, che, alla sua morte, lasciò tutti i suoi averi alla Columbia University. Il premio venne assegnato per la prima volta nel 1917 e tutt’ora viene conferito dalla stessa università. Quest’anno è stato assegnato in leggero ritardo e online rispetto alla tradizionale cerimonia di aprile.
Il premio è stato conferito a servizi riguardanti discriminazioni, guerre, stragi, problematiche socioeconomiche o questioni politiche. Solo nell’ultimo decennio le tematiche ambientali sono entrate tra quelle premiate, ad esempio in servizi su alluvioni, siccità e incendi, o in inchieste come quella sul Dilbit (un prodotto petrolifero non convenzionale che, in caso di perdite, si deposita sui fondali invece di galleggiare, rendendo il recupero quasi impossibile) portata avanti da InsideClimate News. È però la prima volta che viene premiato un reportage incentrato direttamente sul cambiamento climatico.
2°C: Beyond the Limit
La serie vincitrice raccoglie 12 diversi reportage che descrivono luoghi in cui il riscaldamento climatico ha già raggiunto i 2°C. Si tratta della soglia di riscaldamento medio globale posta come limite nei trattati di Parigi per la pericolosità delle conseguenze che avrebbe il suo superamento. Lo studio condotto dal Washington Post mostra che già il 10% del pianeta ha raggiunto questa soglia, richiamando l’attenzione sul fatto che il cambiamento climatico non riguarda il futuro, ma il presente.
Sono stati presentati luoghi tanto vari e lontani quanto il Qatar, con i suoi condizionatori da esterno in stadi e mercati, e il New Jersey, dove tempo addietro un lago riforniva le ghiacciaie di New York, mentre oggi è ricoperto da uno strato di ghiaccio così sottile da non permettere la pesca.
Il tutto è stato realizzato da una squadra di 53 persone, fra cui giornalisti, analisti, fotografi, grafici e designer, guidati dal reporter specializzato in temi ambientali Chris Mooney e dalla redattrice ambientale del Post Trish Wilson. L’idea è stata elaborata a partire da due studi sulla sparizione di uccelli e insetti a Porto Rico e nel deserto del Mojave, quando il Post ha notato che questi luoghi mostravano un riscaldamento anomalo rispetto alla media globale. Sono stati così analizzati scientificamente dati di temperatura degli ultimi 170 anni, individuando i cosiddetti hot spots, i luoghi più colpiti dal riscaldamento globale. È stato incluso nel progetto anche uno strumento online che permette ai lettori di visualizzare i dati di aumento di temperatura nel mondo.
Quest’anno anche un altro reportage sul cambiamento climatico è comparso fra i finalisti: si tratta di un lavoro realizzato dal Los Angeles Times sull’innalzamento del livello del mare in California.