Tornado devastanti negli Usa: c’entra il cambiamento climatico?
La risposta più sincera è che non lo sappiamo ancora con certezza: l'analisi del meteorologo
Le immagini della devastazione prodotta recentemente da una serie di forti tornado (in Italia chiamati anche “trombe d’aria”) negli Stati Uniti d’America hanno fatto il giro del mondo e suscitato una notevole impressione. Oltre a smisurati danni materiali ed economici l’evento osservato nei giorni 10 e 11 dicembre ha provocato la morte di circa un centinaio di persone.
Molti fra noi senz’altro si sono chiesti se possa esserci un collegamento tra il cambiamento climatico associato al riscaldamento globale e situazioni come quella descritta. Per tentare di dare una risposta razionale servono alcune premesse e qualche dato. Gli Stati Uniti sono la nazione del mondo dove si osservano più tornado (in media oltre 1000 all’anno), un record certamente non gradito dovuto alla particolare conformazione del territorio che favorisce l’incontro delle masse d’aria calde e umide provenienti dal Golfo del Messico con le correnti perturbate occidentali delle medie latitudini. La stragrande maggioranza dei tornado più forti e più distruttivi (quelli classificati EF2 o superiori, in una scala che va da 0 a 5, la cosiddetta Enhanced Fujita scale) sono associati a una particolare struttura temporalesca detta “supercella”, un tipo di cella convettiva particolarmente intensa che si distingue per la sua longevità e per la presenza di un colonna d’aria ascendente (updraft) in rotazione.
Questi “supertemporali”, non diversamente dai temporali ordinari, si sviluppano assai più frequentemente in primavera e d’estate: i tornado del 10-11 dicembre sotto questo aspetto appaiono quindi ancora più sorprendenti. Oltre agli ingredienti necessari perché si verifichi un temporale “ordinario” (instabilità, umidità, innesco, esaminati in questo articolo perché si sviluppi una supercella deve essere soddisfatta un’importante condizione riguardante il cosiddetto “shear verticale dei venti”: detto in parole semplici il vento sulla verticale deve crescere di intensità (dell’ordine di almeno 15-20 m/s nei primi 6 km) e magari cambiare direzione. Con riferimento ai tornado è stata osservata anche l’importanza di un significativo shear verticale nel primo kilometro dell’atmosfera.
Questa breve premessa, ben lungi dall’essere esaustiva, si è resa necessaria per intuire i motivi per cui ancora oggi risulta difficile individuare, a differenza di altri eventi estremi quali le ondate di caldo o le precipitazioni alluvionali, una tendenza probabile per eventi di questo tipo. Si tratta infatti di fenomeni che richiedono ingredienti particolari che devono essere tutti presenti almeno in qualche misura.
Sappiamo per esempio che in molte aree del mondo le precipitazioni più intense diverranno probabilmente più frequenti, a discapito di quelle deboli o moderate, ma, come appena ricordato, perché nascano supercelle (e potenzialmente i tornado) deve esservi al contempo anche una sufficiente variazione verticale dell’intensità del vento. Una complicazione, ad esempio, potrebbe nascere dall’osservazione che il pianeta si scalda in modo diseguale (pensate al fenomeno dell’Amplificazione Artica, ne abbiamo scritto qui: in questa situazione, per precisi motivi fisici, durante l’estate lo shear verticale tenderà in media a diminuire. Più in generale, un problema con cui si confrontano i climatologi è che i modelli climatici per motivi di economia di calcolo sono costretti a lavorare con una risoluzione (dettaglio spaziale) relativamente bassa, mentre i fenomeni convettivi si manifestano sulla piccola scala e sono simulati in modo approssimativo.
A conferma di queste osservazioni, se si esegue una ricerca del termine “tornado”nella sintesi dell’ultimo rapporto dell’IPCC (AR6, Sixth Assessment Report) scopriremo che non ve ne è traccia, mentre leggeremo la seguente frase assai prudente:“Esiste una bassa “confidence” per la maggior parte delle regioni di potenziali cambiamenti futuri di fenomeni quali grandine, tempeste di ghiaccio, temporali violenti …”. Per quanto riguarda in particolare gli Stati Uniti le osservazioni indicano un maggior numero di tornado registrati a partire dal 1950, ma questo, secondo gli esperti della NOAA, (National Oceanic and Atmospheric Administration) “è un risultato legato soprattutto alla disponibilità di una migliore tecnologia, quale il radar Doppler”. Un articolo pubblicato su “Nature” nel 2018 mostra che, con riferimento agli Stati Uniti, “la frequenza annuale delle segnalazioni nazionali di tornado è rimasta relativamente costante …”, ma gli stessi autori osservano che le tendenze dal 1979 hanno segno diverso per diverse aree della nazione. Sempre su “Nature”, in un lavoro pubblicato nel 2016 gli autori suggeriscono che nel periodo compreso fra il 1954 ed il 2014 sia aumentato il numero medio di tornado associato ad un singolo “outbreak tornadico” (vale a dire numerosi tornado nello stesso tempo), una considerazione che potrebbe essere stata confermata dagli eventi del 10 dicembre scorso.