Nella notte tra il 4 e il 5 marzo a New York, dopo diversi giorni di colloqui e anni di rinvii, gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno finalmente trovato un accordo per il trattato di protezione dell’alto mare.
L’alto mare è l’area di mare che si trova al di là della Zona Economica Esclusiva (ZEE) nazionale – oltre le 200 miglia nautiche dalla costa. Occupa circa due terzi dell’oceano. Questa zona fa parte delle acque internazionali, quindi è al di fuori delle giurisdizioni nazionali, in cui tutti gli Stati hanno il diritto di pescare, navigare e fare ricerca, per esempio. Allo stesso tempo, l’Alto Mare svolge un ruolo vitale nel sostenere le attività di pesca, nel fornire habitat a specie cruciali per la salute del pianeta e nel mitigare l’impatto della crisi climatica.
1/8 ??: Governments @UN have just agreed on a Global Ocean Treaty! ?
? This is huge – it’s the biggest conservation victory ever! ?
Here’s a ? on how we got here and what it means: pic.twitter.com/kHiv3DOIer
— Greenpeace International (@Greenpeace) March 5, 2023
Il presidente della conferenza, Rena Lee di Singapore ha annunciato che il trattato è ora realtà e il testo verrà adottato formalmente a breve.
In cosa consiste il Trattato appena firmato?
Lo storico trattato è fondamentale per far rispettare l’impegno 30×30 assunto dai Paesi alla conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità a dicembre, per proteggere un terzo del mare (e della terraferma) entro il 2030. Senza il trattato questo obiettivo fallirebbe, poiché fino ad ora nessun meccanismo legale era in essere per questa vastissima parte del Pianeta.
Coprendo quasi i due terzi dell’oceano che si trova al di fuori dei confini nazionali, il trattato fornirà un quadro giuridico per la creazione di vaste aree marine protette (AMP) per proteggere dalla perdita di fauna selvatica e condividere le risorse genetiche dell’alto mare. Verrà istituita inoltre una conferenza delle parti (Cop) che si riunirà periodicamente e consentirà agli Stati membri di essere tenuti a rendere conto su questioni come la governance e la biodiversità.
Gli ecosistemi oceanici producono la metà dell’ossigeno che respiriamo, rappresentano il 95% della biosfera del pianeta e assorbono anidride carbonica, essendo il più grande serbatoio di carbonio del mondo. Tuttavia, fino ad ora, le norme frammentate e applicate in modo approssimativo che disciplinano l’alto mare hanno reso quest’area più suscettibile allo sfruttamento rispetto alle acque costiere.
«Questo è un momento storico per la protezione della natura e degli oceani. Ed è anche un segnale che in un mondo sempre più diviso, la protezione della natura e delle persone può trionfare sui calcoli della geopolitica», dichiara Laura Meller di Greenpeace. «Ci congratuliamo con tutti i Paesi per aver raggiunto un compromesso mettendo da parte le diverse posizioni e producendo un trattato che ci permetterà di proteggere il mare, aumentare la nostra resistenza ai cambiamenti climatici e proteggere la vita e il benessere di miliardi di persone».
Per Greenpeace adesso è però il momento di passare dalle parole ai fatti: è necessaria una rapida ratifica che permetta al trattato di entrare presto in vigore e quindi cominciare a creare quei santuari utili a proteggere gli oceani di cui abbiamo bisogno. Abbiamo poco tempo per raggiungere l’obiettivo 30×30 e non possiamo temporeggiare.
Gli Stati della High Ambition Coalition, che comprende l’Unione Europea, gli Stati Uniti e la Cina, sono stati fondamentali per chiudere l’accordo, mostrando una volontà di cooperazione e ricerca del compromesso negli ultimi giorni del negoziato, cercando alleati anziché seminare divisioni. I Paesi del gruppo degli Stati insulari (Small Island States) hanno mostrato leadership nel corso di tutto il processo e il gruppo dei Paesi del G77, che comprende la gran parte degli altri Stati, ha guidato il processo per far sì che il trattato possa essere messo in pratica in modo equo e giusto.
Adesso i Paesi, Italia inclusa, devono raggiungere in tempo l’obiettivo 30×30: serve una rapida ratifica del Trattato e poi la creazione di una rete efficace di santuari per proteggere tutto il mare, dentro e fuori i limiti delle acque territoriali. Inoltre, è importante sfruttare questo successo per fermare vecchie e nuove minacce – come lo sfruttamento minerario degli abissi marini, il cosiddetto Deep Sea Mining – e mettere al centro la tutela del mare.