Archeologia a rischio: ritrovate microplastiche nei siti ritenuti puri e immacolati
La contaminazione può compromettere il valore scientifico dei depositi archeologici. Lo studio inglese
Molte volte abbiamo trattato l’inquinamento da microplastiche che sembra non risparmiare nessun angolo del Pianeta, dalla vetta dell’Everest alla Fossa delle Marianne fino all’Antartide. Un nuovo studio portato avanti da ricercatori dell’Università di York nel Regno Unito e pubblicato il primo marzo sulla rivista scientifica Science Direct, riporta che per la prima volta sono state ritrovate in alcuni reperti archeologici da sempre creduti puri ed incontaminati, mettendo quindi seri dubbi sul modo in cui vengono custoditi.
Gli studiosi hanno rintracciato la presenza di microplastiche in campioni di terreno antico, a più di 7 metri di profondità, depositati nel I o II secolo d.C. e rinvenuti negli anni ’80 del secolo scorso: in totale sono stati identificati 16 diversi tipi di polimeri microplastici. “Sono state identificate 66 particelle microplastiche costituite da 16 tipi di polimeri sia nei campioni del sito che in quelli contemporanei/archiviati. I livelli più alti sono stati ritrovati alla profondità più bassa (∼7,35 m); rilevati nei campioni di sedimento in generale i tipi di polimeri copolimerici di politetrafluoroetilene (PTFE), polibutilene solfone (PSU) e polipropilene in forma prevalentemente frammentata e irregolare“.
Si ritiene che questa sia la prima prova di contaminazione da microplastiche in campioni di sedimenti archeologici tenendo conto dei vuoti procedurali. Questi risultati supportano il fenomeno del trasporto di queste particelle all’interno della stratigrafia archeologica e la caratterizzazione di tipologie, forme e intervalli dimensionali qui identificati. Attraverso la contaminazione può essere compromesso il valore scientifico dei depositi archeologici in situ .
Sono molte le preoccupazioni circa l’impatto di queste sostanze sia sull’ambiente che sulla salute umana ma questo ultimo studio ci fa capire che potremmo essere di fronte ad un cambiamento notevole nell’intero campo dell’archeologia. “Questo sembra un momento importante che conferma ciò che avremmo dovuto aspettarci: quelli che in precedenza si pensava fossero depositi archeologici incontaminati, pronti per le indagini, sono stati in realtà contaminati dalla plastica e questo include depositi campionati e conservati alla fine degli anni ’80″ ha spiegato John Schofield, Professore e direttore degli studi presso il Dipartimento di Archeologia dell’Università di York.
“I nostri resti meglio conservati, ad esempio i reperti vichinghi a Coppergate nella città di York, si trovavano in un ambiente anaerobico impregnato d’acqua per oltre 1000 anni che preservava i materiali organici incredibilmente bene. Tuttavia la presenza delle microplastiche potrebbe alterare la chimica del terreno, introducendo potenzialmente elementi che causeranno la decomposizione dei resti organici. Se così fosse, preservare l’archeologia in situ potrebbe non essere più appropriato” queste le parole di David Jennings, amministratore delegato del Dipartimento di Archeologia dell’Università di York.