Emergenza smog, il blocco del traffico serve davvero?
Traffico e riscaldamento domestico sono i principali responsabili dell'aumento delle polveri sottili
In molte città è scattato il blocco del traffico, ma l’Italia continua ad essere in piena emergenza smog. Molte città, specie della Valpadana, sono in apnea da più di 2 settimane per concentrazioni di livelli di polveri sottili, costantemente oltre la soglia limite per la salute umana. L’inquinamento elevato e prolungato dell’aria ha spinto molti comuni, come Roma, Milano, Torino e Firenze, a prendere iniziative con il blocco alle auto in città. Ma queste misure sono sufficienti?
Con questo smog, il blocco del traffico serve davvero?
Lo stop alla circolazione delle auto, secondo Cinzia Perrino, direttore dell’Istituto sull’Inquinamento atmosferico (IIA) del Cnr, intervistata su Repubblica, purtroppo «incide poco» sulla qualità della nostra aria. «Come tutte le misure emergenziali, e questa è una di quelle, sono misure che lasciano un po’ il tempo che trovano. Sono 20-30 anni che ci rifugiamo in misure come queste e poco viene fatto per soluzioni che incidano in maniera sensata e a lungo termine. Il contributo diretto del traffico relativo alle polveri Pm10 è stimabile intorno al 25%. Il blocco, si potrebbe dire che incide per poco più del 12%. Una percentuale piccola, davvero marginale».
Della stessa opinione anche il Presidente dell’ACI, Angelo Sticchi Damiani che su twitter ha scritto: «Assurdo fermare gli Euro 6 e poi incentivare con sgravi fiscali 4,2 milioni di auto – il 10% del totale – che hanno da 20 a 30 anni». «I blocchi del traffico non producono vantaggi ambientali ma solo svantaggi, con disagi economici e sociali per i cittadini. Le auto di ultima generazione, anche diesel, hanno un impatto ambientale irrisorio, notevolmente inferiore ad altre motorizzazioni». «Queste misure irrazionali penalizzano automobilisti e ambientalisti».
Cosa inquina di più: auto o riscaldamento?
Traffico e riscaldamento domestico sono i principali responsabili dell’aumento delle polveri sottili. In cima alla classifica delle sorgenti primarie di PM10 c’è il riscaldamento con una fetta del 45% circa, di cui il 97% da combustione di legna. Il trasporto su strada è al secondo posto con il 25% della colpa (tra cui spiccano il diesel e l’usura di freni, pneumatici e manto stradale); l’agricoltura si attesta al terzo posto con il 6,7%.
Le emissioni di particolato connesse al trasporto su strada sono molto significative soprattutto nelle aree urbane. In genere i veicoli con motore diesel emettono una quantità maggiore di particolato fine rispetto ai veicoli con motore a benzina. Altrettanto certo è il legame fra la cilindrata del veicolo e la quantità del particolato prodotto: più potente è il veicolo e maggiore è la quantità di particolato prodotto. Oltre agli scarichi dei motori, ci sono altre fonti di PM10 connesse al traffico su strada: molte polveri sottili vengono prodotte dall’usura di gomme, freni e dall’abrasione dell’asfalto, costituendo circa il 25% delle emissioni di PM10 da traffico veicolare su strada.
E l’agricoltura? Finora sono state prese in considerazioni le percentuali emissive del PM10 primario, ma passando al PM10 secondario (cioè al 65% delle emissioni totali) emergono dei dati molto significativi. Le attività agricole (compreso l’allevamento) emettono nell’atmosfera ammoniaca, dallo spargimento di liquami, dall’uso fertilizzanti e dalle deiezioni degli allevamenti.
Non dimentichiamo i fattori meteorologici e orografici
Le condizioni meteo e la configurazione orografica influiscono molto. Ne sa qualcosa la Pianura Padana che è una delle zone più inquinate d’Europa nonostante le emissioni siano paragonabili a quelle di altre zone sviluppate. «Il motivo numero uno è la conformazione orografica» – spiega la meteorologa Serena Giacomin. «Il “catino” padano è circondato dalla catena montuosa alpina che influenza il regime dei venti».
Un altro importante fattore è la stabilità atmosferica: in periodi dominati dall’alta pressione, l’inquinamento tende ad accumularsi e a ristagnare nei bassi strati. «In atmosfera la temperatura non diminuisce con la quota come ci si aspetterebbe. Si modifica, così, la circolazione locale dell’aria, in particolare i moti verticali: l’aria più fredda, essendo più densa e pesante, non può sollevarsi verticalmente oltre la quota dell’inversione termica e resta “intrappolata” nei bassi strati».