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Inquinanti atmosferici e COVID-19: la scienza evidenzia l’importanza delle politiche sulla qualità dell’aria

L'inquinamento costa. Un recente studio ha dimostrato (ancora una volta) quanto proteggere la salute dei cittadini significhi anche curare la qualità dell'aria che respirano

Gli ultimi studi scientifici lo ribadiscono: la qualità dell’aria che respiriamo influisce significativamente sulla nostra salute. In Europa, quasi la totalità degli abitanti risente delle conseguenze dell’inquinamento atmosferico che ogni anno causa 430 mila morti, con un relativo costo economico, stimato tra i 300 fino ai 940 miliardi di euro. E le concentrazioni di inquinanti pesano anche sull’incidenza delle malattie, specialmente se respiratorie, proprio come il COVID-19.

La qualità dell’aria dipende, a sua volta, dalle politiche messe in atto: l’analisi del lungo periodo mostra, invero, un miglioramento della qualità dell’aria nel continente, dovuto alle politiche ambientali e climatiche riguardanti la riduzione delle emissioni in settori chiave. Ad esempio, dall’anno 2000 le emissioni dei principali inquinanti atmosferici, compresi gli ossidi di azoto (NOx), provenienti dai trasporti, sono diminuite in misura significativa, malgrado la crescente domanda di mobilità e il conseguente aumento delle emissioni di gas a effetto serra del settore. Per quanto riguarda il biossido di azoto in particolare: nell’ultimo decennio i decessi prematuri sono diminuiti di circa il 54 %. Il proseguimento dell’attuazione delle politiche ambientali e climatiche in tutta Europa è il fattore fondamentale alla base dei miglioramenti, anche se, nella lotta all’inquinamento, il lavoro da fare è ancora molto.

Lotta all’inquinamento: Europa ancora troppo lontana dagli obiettivi

Fare una premessa sulle politiche è doveroso, in una situazione in cui le politiche per la ripresa determineranno il modo in cui si supererà la crisi sanitaria e il modo in cui si sceglierà di prevenire e gestire gli shock sistemici futuri.

Preso coscienza di quanto la qualità dell’aria sia cruciale per la salute umana, in questi mesi sono state al centro di molti dibattiti le possibili correlazioni tra Covid-19 e inquinamento atmosferico.

Quello che è emerso chiaramente dalla letteratura scientifica sul tema inquinamento e malattie respiratorie è come l’aerosol inquinante (ad esempio PM10 e il PM2,5) renda la salute delle persone più vulnerabile, peggiorando le conseguenze una volta avvenuta l’esposizione al coronavirus. L’epidemia di COVID-19 ha colpito in modo significativo i soggetti la cui salute è già considerata vulnerabile, ovvero gli anziani e in particolare i residenti nelle aree con una maggiore densità di popolazione.

Anziani e case di riposo, esposti anche al clima che cambia. Come proteggere la popolazione vulnerabile

Uno studio pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, Associations between COVID-19 Incidence Rates and the Exposure to PM2.5 and NO2: A Nationwide Observational Study in Italy, ha preso in esame il territorio italiano e ha dimostrato una significativa relazione tra i tassi di incidenza del Covid-19 e i livelli degli inquinanti nell’aria, in particolare di PM2.5 e NO2, considerando l’andamento sia del periodo 2016-2020 per avere un’analisi statistica valida di dati di inquinamento atmosferico, che i dati relativi ai casi Covid-19 dei periodi Marzo-Maggio 2020 e Marzo-Ottobre 2020.

Considerando l’effetto combinato dei due inquinanti, insieme all’indice di anzianità e densità di popolazione, è emerso che: ad ogni aumento delle concentrazioni di un’unità (1µg/m3) di PM2,5 e NO2 è corrisposto un aumento dei tassi di incidenza di COVID-19 di 1,56 e 1,24 ogni 10mila persone. Osservando gli effetti indipendenti dei due inquinanti nel periodo 2016-2020, il modello ha mostrato una significativa relazione positiva tra le concentrazioni di PM2,5 e NO2 e i tassi di incidenza di COVID-19.

Si consideri che, nonostante il lockdown e le restrizioni alla mobilità e alle  attività produttive introdotte per limitare il contagio, in una regione come la Lombardia la soglia limite per la salute umana di PM2.5 di pari a 25 µg/mè stata raggiunta e superata. Nelle stazioni di Cremona Fatebenefratelli, Soresina e Spinadesco la media annua è risultata pari rispettivamente a 26 µg/m3, 27 µg/m3e 28 µg/m3, tra i capoluoghi di provincia spiccano Cremona con 26 µg/m3 e Milano con 25 µg/m3
Situazione simile anche per l’NO2 che nel 2020 ha registrato superamenti del valore limite sulla media annua (pari a 40 µg/m3) a Milano (48 µg/m3), Monza (44 µg/m3) e Brescia 41 µg/m. 

L’analisi dello stress da inquinamento

La relazione è stata confermata dopo un’analisi multivariata (ovvero un’analisi in cui si è cercato di capire le relazioni che intercorrono tra tutte le variabili in gioco) che mostra l’effetto combinato dei due inquinanti, corretto per indice di vecchiaia e densità di popolazione. In termini quantitativi, è risultato che ad un aumento di un’unità di concentrazioni di inquinanti (1µg/m3) è corrisposto un aumento dei tassi di incidenza di COVID-19 di 1,56e 1,24 ogni 10.000 persone, per rispettivo inquinante. 

Lo studio specifica inoltre che lo stress indotto nell’organismo dal PM2,5 può far aumentare i livelli di uno specifico enzima (ACE-2) nel tessuto polmonare. La sovra-espressione di ACE-2 può aumentare la carica virale nei pazienti infetti da Covid-19. Anche l’NO2 elevato può dare un secondo colpo, causando una forma grave di SARS-CoV-2 nei polmoni compromessi da alta concentrazione di ACE-2.

Tutto questo cosa significa?

Significa che l’esposizione cronica ad alti tassi di agenti inquinanti (in questo caso PM2.5 e NO2), può far aumentare il tasso di incidenza del Covid-19, in particolare nella popolazione anziana e nelle aree densamente popolate. Un altro recente studio, PM10 exposure is associated with increased hospitalizations for respiratory syncytial virus bronchiolitis among infants in Lombardy, Italy, ha preso in esame la regione Lombardia e ha trovato una chiara associazione tra esposizioni a PM10 a breve e medio termine e l’aumento del rischio di ospedalizzazione a causa della bronchiolite respiratoria tra i bambini.

La letteratura scientifica in tema di inquinamento atmosferico è in costante approfondimento e, come possiamo notare, suggerisce la chiara necessità di continuare a perseguire le politiche ambientali e climatiche che, come abbiamo visto all’inizio, possono avere degli effetti concreti. Anche alla luce delle possibili complicanze allo stato di salute causate dall’inquinamento durante la pandemia da Covid-19, è assolutamente prioritario che le politiche di ripresa siano indirizzate verso progetti ed iniziative che contribuiscano ad un miglioramento della qualità dell’aria, in particolare nei grandi agglomerati urbani, già notevolmente esposti ad alte concentrazioni di inquinanti.

 

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Elisabetta Ruffolo

Elisabetta Ruffolo (Milano, 1989) Laureata in Public Management presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università degli studi di Milano. Head of communication di MeteoExpert, Produttrice Tv per Meteo.it, giornalista e caporedattrice di IconaClima. Ha frequentato l’Alta scuola per l’Ambiente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore per il Master in Comunicazione e gestione della sostenibilità.

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