Inquinamento: gli oggetti di plastica che opprimono i nostri oceani
Secondo i ricercatori circa 10 tipi di oggetti caratterizzano l'80% di tutta la spazzatura
Uno studio pubblicato su Nature Sustainability, rivista mensile esclusivamente online che pubblica le migliori ricerche sulla sostenibilità provenienti dalle scienze naturali e sociali, dai campi dell’ingegneria e delle politiche, analizzando l’inquinamento da plastica nei nostri oceani, ha evidenziato che sacchetti di plastica monouso, bottiglie, contenitori e involucri di cibo rappresentano, da soli, quasi la metà di tutti i rifiuti. La ricerca è stata finanziata dalla BBVA, gruppo bancario multinazionale spagnolo e dal Ministero della Scienza spagnolo. Il consumo di massa e lo scarto accelerato dei prodotti creati dall’uomo stanno determinando un grave problema di smaltimento su scala globale. Gli oggetti in metallo, tessuto, vetro, carta, ceramica, gomma e plastica si accumulano sulle coste, nell’acqua e nei fondali marini di tutto il mondo: il preoccupante aumento della plastica negli oceani è uno spiacevole risultato del prevalente modello economico lineare prodotto-uso-smaltimento. Nel 2010 è stato stimato che i rifiuti di plastica totali generati equivalgono alla produzione globale di materiali plastici, con circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica che entrano nell’oceano da fonti terrestri.
Secondo i ricercatori circa dieci tipi di oggetti di plastica compongono addirittura l’80% di tutta la spazzatura: “Questo dato non ci ha stupito più di tanto; quello che ci ha lasciato di stucco è stato vedere che la maggior parte dei rifiuti in plastica derivano da cibo da asporto, come bottiglie di plastica, posate e involucri di cibo” queste le parole del capo dello studio, Carmen Morales-Caselles. Più di 12 milioni di rifiuti sono stati recuperati da 7 ambienti principali per essere classificati in base alla composizione del materiale, al tipo di prodotto e alla probabile origine. In base a questa analisi l’80% dei rifiuti marini ha origine sulla terraferma e il restante 20% è attribuito a fonti marine. Viene confermata la schiacciante prevalenza di articoli in plastica: in media l’80%, a cui seguono metallo (7%), vetro (5%, 6%) e tessuto (3%). La quota maggiore di plastica è stata trovata nelle acque superficiali (95%), seguita dalle coste (83%). Sotto la superficie, la percentuale di plastica nei rifiuti totali è aumentata progressivamente dal 49% dei letti dei fiumi al 64% dei fondali costieri fino ad arrivare al 77% sui fondali marini profondi.
L’analisi ha incluso gli oggetti in plastica maggiori di 3 cm e riconoscibili, escludendo le microplastiche e i frammenti di oggetti più grandi. La maggior concentrazione di spazzatura è stata rilevata sulle coste dove i rifiuti si accumulano a causa del movimento di onde e correnti marine: una maggiore presenza di materiali da pesca è stata rilevata invece in mare aperto, dove rappresenta circa la metà dei rifiuti totali. Le lattine per bevande sono state tra i primi 10 rifiuti ritrovati sui fondali marini, in particolare in quelli profondi (10%). Le bottiglie di vetro sono state spesso recuperate nei letti dei fiumi mentre gli articoli da imballaggio industriale erano prevalenti nelle acque fluviali e nelle aree offshore (sia acque che fondali marini) probabilmente a causa di fonti distinte rispettivamente terrestri (industria, agricoltura) e oceaniche (navigazione). Sono numerosi i dati che riportano una preoccupante abbondanza di rifiuti sanitari nei fiumi urbani o rifiuti di plastica agricola nelle aree del Mediterraneo: l’analisi indica chiaramente le attività dei consumatori come le principali fonti di rifiuti marini, seguite dalle attività basate sul mare.
Dal 3 luglio entrerà in vigore la direttiva europea 904, la cosiddetta Sup (Single-use plastic products) adottata 2 anni fa per prevenire e ridurre l’impatto di determinati prodotti di plastica sull’ambiente, in particolare su quello marino e sulla salute umana. Si punta a voler far cambiare le abitudini sull’utilizzo di oggetti di plastica che sono entrati nella nostra quotidianità con un peggioramento dei dati durante la pandemia che ha visto un netto aumento nei consumi di packaging. Il primo obiettivo è quello di una riduzione di almeno il 50% entro il 2025, il secondo di almeno l’80% entro il 2030.