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L’invisibile minaccia delle nanoplastiche: come danneggiano gli alberi e rallentano la fotosintesi

È risaputo che la plastica finisce sempre più spesso nei nostri suoli e nelle acque, e sono particolarmente preoccupanti le particelle microscopiche, come le microplastiche e le nanoplastiche. Ciò che resta ancora poco chiaro è il modo in cui queste particelle riescono a penetrare negli organismi viventi e quale impatto abbiano sul loro metabolismo. Una ricercatrice ha recentemente dimostrato che gli alberi assorbono le nanoplastiche contenute nell’acqua attraverso le loro radici, con conseguenze negative sulla fotosintesi.

Questa scoperta, condotta in collaborazione con un team di ecologi, rappresenta la prima evidenza scientifica che dimostra come le nanoplastiche possano alterare il processo fotosintetico nelle piante. Per giungere a questa conclusione, i ricercatori hanno utilizzato un metodo innovativo per rilevare con precisione la presenza di micro e nanoplastiche nei tessuti degli alberi.

Esperimenti con giovani alberi in coltura idroponica

Gli studiosi hanno coltivato 100 piantine di due specie di alberi con differenti strategie di utilizzo dell’acqua: un albero deciduo diffuso in Europa, che necessita di grandi quantità d’acqua, e un abete, noto per la sua resistenza a condizioni più secche. Dopo diversi mesi, le piantine sono state trasferite in un ambiente idroponico, dove le loro radici crescevano in acqua arricchita di nutrienti anziché nel suolo.
A questo punto, i ricercatori hanno aggiunto diverse concentrazioni di nanoplastiche al sistema idroponico e analizzato la quantità di plastica presente in varie parti degli alberi a intervalli regolari. Contemporaneamente, è stata misurata l’attività fotosintetica delle piante, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati su una rivista scientifica.

Nel giro di poche settimane, gli studiosi hanno rilevato tra 1 e 2 milligrammi di nanoplastiche per grammo di materiale vegetale nelle radici. La quantità di plastica presente nei tronchi, nelle foglie e negli aghi risultava però 10-100 volte inferiore. Sorprendentemente, non vi erano differenze significative tra le due specie di alberi: nonostante l’abete assorba meno acqua, la quantità di nanoplastiche accumulata risultava pressoché identica a quella rilevata nell’albero più “assetato”. Questo risultato ha suggerito che le nanoplastiche non entrano nelle piante attraverso piccole fessure nei tessuti radicali, come si pensava in precedenza, ma vengono invece assorbite dalle cellule delle radici e trasportate verso l’alto all’interno della pianta.

Effetti fisiologici e fotosintesi compromessa

La ricerca ha inoltre dimostrato che le nanoplastiche presenti nelle foglie e negli aghi possono influenzare negativamente processi fisiologici fondamentali, come la fotosintesi. Nei test effettuati, l’efficienza fotosintetica dell’albero deciduo è diminuita di un terzo in appena due settimane, mentre quella dell’abete è calata del 10% dopo quattro settimane, rispetto agli alberi cresciuti senza l’aggiunta di nanoplastiche.

Il motivo per cui gli effetti sull’abete sono stati più lenti rispetto all’albero deciduo potrebbe risiedere nella necessità, per le particelle, di superare un’ulteriore barriera cellulare negli aghi. Parte dell’energia solare, invece di essere utilizzata per la fotosintesi, viene dissipata sotto forma di calore, un classico segnale di stress nelle piante. I ricercatori ipotizzano che le nanoplastiche si accumulino nelle membrane cellulari, danneggiandole.

L’accumulo di nanoplastiche in questo modo potrebbe anche compromettere altri organismi viventi, poiché le membrane cellulari svolgono un ruolo chiave in molti processi fisiologici.

Un impatto a lungo termine?

Nonostante la riduzione della fotosintesi, non sono stati osservati effetti immediati sulla crescita degli alberi. Tuttavia, gli studiosi sottolineano che l’osservazione è stata condotta solo per un breve periodo, e quindi non è possibile trarre conclusioni sui potenziali effetti a lungo termine. Inoltre, nello studio sono state utilizzate quantità relativamente elevate di nanoplastiche: con concentrazioni minori o in presenza di suolo anziché di acqua, gli effetti potrebbero essere diversi.

“Sebbene il nostro studio non intenda suggerire che gli alberi possano morire a causa delle nanoplastiche,” chiarisce una ricercatrice, “queste particelle potrebbero costituire un ulteriore fattore di stress, specialmente per gli alberi che già affrontano problemi come il caldo, la siccità e l’inquinamento atmosferico nelle aree urbane.”

Questo studio pone le basi per una comprensione più profonda del ruolo delle nanoplastiche negli ecosistemi naturali e delle possibili implicazioni per la salute delle piante e degli organismi che le abitano.

Maggiori dettagli sull’argomento si possono trovare nell’articolo “Uptake and physiological impacts of nanoplastics in trees with divergent water use strategies” a questo link.

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