Biodiversità urbana: la fragile convivenza tra uomo e animali selvatici in città
Perché gli animali selvatici scelgono di vivere in città? Come si adattano alla vicinanza dell’uomo? Come possiamo proteggerli? Alla scoperta del mondo spesso invisibile e silenzioso che vive vicino a noi nei centri urbani, tra rumore, inquinamento, isola di calore e cambiamenti climatici
Traffico, rumore, cemento e asfalto, aria inquinata, forte illuminazione notturna, strani e numerosi bipedi, a volte accompagnati dai loro animali domestici. E’ la città, nuovo ecosistema in rapida trasformazione ed espansione.
Eppure, la fauna selvatica a volte sceglie spontaneamente di abitarvi, regalandoci la sua silenziosa o melodiosa compagnia.
Importante “indicatore ambientale”, questo mondo è davvero ricco, anche se spesso non ce ne accorgiamo. Ne fanno parte non solo i noti animali come i piccioni (colombi) o gli storni, ma anche animali rari e protetti, uccelli migratori a lungo raggio, falchi, rapaci notturni, scoiattoli, ricci, volpi, rane, testuggini, una miriade di insetti, tra cui le preziosissime api, e tanti altri grandi o minuscoli animali terrestri e acquatici. Tra di essi anche specie aliene, come i parrocchetti, le minilepri e le nutrie: specie esotiche rilasciate nell’ambiente dall’uomo volontariamente o per fughe accidentali. Ben adattate a vivere libere in città, alcune di queste specie rappresentano un vero pericolo per la biodiversità autoctona, con la quale la competizione può diventare insostenibile, come nel caso della testuggine dalle guance rosse, specie invasiva che sta mettendo a repentaglio la sopravvivenza della testuggine palustre europea, e lo scoiattolo grigio, in forte competizione con lo scoiattolo rosso europeo.
Biodiversità urbana: perché alcuni animali selvatici vivono in città? L’inurbamento attivo e l’inurbamento passivo
Parchi, giardini, terreni incolti, strade ed edifici rappresentano un “ecomosaico” di ambienti dove è più facile reperire cibo, dove gli uccelli rupicoli trovano luoghi molto elevati per nidificare, dove gli insetti possono disporre di aree non avvelenate dai pesticidi.
Certo, la città espone a dei pericoli, legati prevalentemente alle automobili, ai cavi elettrici e alle superfici riflettenti o trasparenti di cui sono costituiti molto edifici moderni (si stima che venticinque milioni di uccelli siano vittime ogni anno in Italia della collisione contro le vetrate di edifici, pannelli fonoisolanti e altre strutture), ma la città offre temperature un po’ meno rigide durante l’inverno e, soprattutto, mette al riparo dall’attività venatoria.
Prendiamo ad esempio Giò e Giulia, una famosa coppia di falchi pellegrini che da diversi anni vive nel sottotetto del grattacielo Pirelli, a Milano. Scoperti per caso in occasione di lavori di ristrutturazione, i due falchi hanno eletto a fissa dimora un nido artificiale costruito appositamente per loro. Grazie a due webcam di Regione Lombardia che li riprendono costantemente e ad una pagina Facebook dedicata, la loro vita è seguita da centinaia di appassionati, in questo periodo dell’anno ancor più numerosi poiché le tre uova, deposte nella prima settimana di marzo, si schiuderanno poco dopo Pasqua.
Tutti potranno così osservare questi potenti e velocissimi predatori (possono superare i 300 km/h in picchiata durante la caccia in volo di altri uccelli) alternarsi nell’amorevole cura dei loro pulli, all’inizio ricoperti da bianchissimo piumino, poi sostituito dalle penne che permetteranno l’involo tra maggio e giugno. Anche per loro la città ha vantaggi e svantaggi: da un lato offre un rifugio tranquillo ad alta quota ed è fonte facile di cibo grazie alla grande quantità di uccelli che vive nei dintorni della vicina Stazione Centrale, dall’altro costituisce un pericolo per la presenza di numerosi edifici a vetrate. Ed è infatti contro uno di essi che nel 2018 ai primi voli è terminata l’avventura di uno dei figli di Giò e Giulia. D’altronde, è probabile che non sia andata meglio al fratello: il GPS di cui era dotato smise infatti di segnalare la sua posizione quando il giovane falco aveva appena stabilito la sua nuova dimora in piena campagna, probabilmente a causa di un colpo di fucile, anche se non se ne potrà mai avere la certezza.
Il cosiddetto ”inurbamento” della fauna selvatica non è sempre attivo, cioè spontaneo, può essere anche passivo, cioè avvenire quando gli animali sono costretti a trasferirsi in città poichè la campagna e le aree incolte in cui vivono vengono fagocitate dall’espansione dell’area urbana adiacente. E’ questo il caso dell’Averla piccola, un passeriforme di interesse comunitario (inserito nella Direttiva Uccelli di Rete Natura 2000), buon indicatore di biodiversità per gli ecosistemi agricoli e gli ambienti aperti, per la cui conservazione la Regione Lombardia nel 2009 ha dovuto attuare un piano d’azione dedicato.
Biodiversità urbana: l’adattamento alla vita in città
Per gli animali selvatici, le città costituiscono aree profondamente diverse rispetto all’ambiente naturale. Può accadere dunque che alcune specie modifichino i loro comportamenti in modo da adattarsi il più possibile alle condizioni incontrate nelle aree urbane.
Uno degli elementi che caratterizza l’ambiente urbano è il rumore prodotto dal traffico veicolare e dal funzionamento di macchinari, che può interferire con i segnali acustici prodotti dagli uccelli per ottenere il successo riproduttivo.
Diversi studi hanno dimostrato che alcune specie di uccelli, come la cinciallegra, regolano il loro canto in funzione delle interferenze acustiche locali e quindi delle caratteristiche di trasmissibilità del suono degli ambienti in cui si trovano. Altri uccelli, tra cui il pettirosso, per evitare l’interferenza del disturbo acustico durante il giorno, cantano nelle ore notturne. Un’interessante ricerca condotta da alcuni ricercatori britannici ha dimostrato che il canto notturno è determinato dal livello diurno di disturbo acustico, piuttosto che dall’inquinamento luminoso durante la notte, come si era inizialmente ipotizzato.
Proprio l’inquinamento luminoso è un altro importante elemento di disturbo legato alla città e alle aree fortemente urbanizzate in generale.
Un esempio di adattamento (opportunistico) alle luci artificiali è legato ad una situazione assai nota: l’attrazione per le fonti luminose puntiformi da parte di moltissimi insetti. Oltre a provocare danni legati alla collisione e all’ustione, essa espone questi animali ad un elevato rischio di predazione. Ne traggono un vantaggio diretto i pipistrelli, che in alcuni casi si sono talmente adattati a concentrare il volo intorno alle fonti luminose artificiali, da ricavare gran parte del loro nutrimento con questa modalità.
Questo e molti altri esempi di quanto l’inquinamento luminoso possa interferire sulla vita di moltissimi animali sono contenuti in una pubblicazione di Giuseppe Camerini del Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente – Università degli Studi di Pavia su Biologia Ambientale, 28 (n. 1, 2014), che l’autore stesso riassume così: “L’esposizione alla luce artificiale durante le ore notturne può alterare gli orologi biologici in conseguenza di squilibri ormonali. L’inquinamento luminoso può anche trasporre comportamenti che si manifestano in ore diurne o crepuscolari alle ore notturne e incidere sui comportamenti riproduttivi quando essi sono sincronizzati con il fotoperiodo. Ad essere condizionati sono altresì i meccanismi di orientamento e migrazione. I gradienti di luminosità possono condizionare i tempi dedicati alla ricerca del cibo da parte delle diverse specie animali; in tal modo l’interferenza data dalla luce artificiale può aumentare il livello di competizione interspecifica. Specie che non tollerano le luci artificiali possono andare incontro a estinzione ed essere sostituite da altre che beneficiano dell’illuminazione notturna. Specie che siano attratte dalle sorgenti luminose possono per altro andare incontro ad un aumento del rischio di predazione. In definitiva, l’alterazione dei processi di competizione e predazione può incidere sulle dinamiche di popolazione e dunque –di riflesso– l’impatto dell’illuminazione artificiale può avere anche implicazioni ecologiche”.
Naturalmente, la sola stretta convivenza con l’uomo è motivo di disturbo. La maggior parte della fauna selvatica ci teme fortemente e, anche se gli animali di città sono meno timorosi dei conspecifici che vivono in ambiente naturale, cercano di evitarci il più possibile. Come? Riducendo gli spostamenti o, come emerso da un recente studio su diverse specie di mammiferi pubblicato su Science, svolgendo la maggior parte delle attività di notte anziché di giorno.
Il monitoraggio dello stato di conservazione della biodiversità urbana e gli atlanti biologici
Conoscere quali specie selvatiche sono presenti in una città fornisce indicazioni utili non solo per la loro conservazione, ma anche per una migliore gestione dell’ambiente urbano.
Gli atlanti biologici sono il risultato di lunghe indagini che prevedono la collaborazione degli specialisti insieme al coinvolgimento dei cittadini (citizen science) ed hanno lo scopo di individuare e cartografare la distribuzione delle specie. Anche se esistono atlanti per diversi gruppi tassonomici, quelli di gran lunga più diffusi riguardano gli uccelli nidificanti.
L’Italia è il paese che in Europa, e nel mondo, ha realizzato il maggior numero di atlanti ornitologici urbani, con 41 aree coinvolte, tra cui Torino, Genova, Milano, Venezia, Pisa, Roma, Napoli , Cagliari e Firenze.
Le informazioni contenute negli atlanti ornitologici, per la compilazione dei quali servono tempi di studio anche fino a dieci anni, sono analizzate anche da Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), che dal 2018 le inserisce in maniera sistematica tra gli indicatori del Rau (Rapporto qualità dell’ambiente urbano). Nel RAU per il 2019 ISPRA rimarca l’utilità di questi indicatori anche nell’ambito del tema dei cambiamenti climatici poichè “La presenza e la distribuzione degli uccelli in città è molto influenzata da parametri climatici. […] Gli uccelli evidenziano diverse variazioni nelle loro dinamiche in base alle mutazioni del clima che sta avvenendo sia alla scala locale che globale. Tra queste vi sono contrazioni di areale a causa della scomparsa degli ambienti tipici e delle relative condizioni ambientali (specie alpine), l’arrivo sempre più precoce in Europa dei migratori a lungo raggio trans-sahariani, l’avvio anticipato del ciclo riproduttivo (talvolta già in pieno inverno), e la riduzione del fenomeno migratorio, con casi sempre più frequenti di uccelli che si trattengono a svernare in Europa (es. Upupa Upupa epops, Rondine Hirundo rustica)”.
Un elenco completo e aggiornato delle mappe dove vivono e si riproducono gli uccelli in città è pubblicato dalla Lipu-BirdLife Italia in un volume dal titolo “Urban Bird Atlases in Europe”: “Si tratta della panoramica più completa e aggiornata sulla presenza di avifauna nei centri urbani, realizzata anche grazie al contributo di ornitologi europei – spiega Marco Dinetti, responsabile Ecologia urbana della Lipu-BirdLife Italia – La metodologia di indagine dell’atlante ornitologico urbano si è rivelata uno strumento utile sia da un punto di vista scientifico perché gli uccelli, che fungono da indicatori, forniscono informazioni sulla qualità ambientale, sia per una corretta pianificazione urbanistica e una gestione sostenibile del verde urbano”.
A livello generale, emerge il consolidamento nei centri storici di colombi, rondoni, merli e storni, una forte espansione del colombaccio, l’aumento, seppur più contenuto, anche di falco pellegrino, gheppio, gabbiano reale, picchio verde, picchio rosso maggiore e codirosso comune. A questo incremento si contrappone però il drammatico dimezzamento negli ultimi dieci anni dei passeri.
Le specie maggiormente in sofferenza sono però quelle che vivono ai confini tra città e campagna, in ambiente agricolo o rurale. Uno studio effettuato dall’Università Bicocca di Milano utilizzando dati raccolti dal 1992 al 2016 rivela che in Lombardia “le popolazioni degli uccelli nidificanti complessivamente risultano in aumento in funzione di notevoli crescite demografiche delle specie forestali e di alcune specie generaliste (specie non selettive, che si adattano cioè a vivere in svariate condizioni ambientali, ndr) sinantropiche (legate ad ambienti antropizzati, ndr) legate agli agro-ecosistemi, come il fagiano (+8,2%), il colombaccio (+13,5%), la gazza (+6,0%) e la cornacchia grigia (+1,1%, soltanto). Se l’incremento delle prime rappresenta un fattore positivo connesso al generale miglioramento delle condizioni degli ambienti forestali, l’aumento delle seconde è purtroppo indice di una forte antropizzazione e perdita di elementi naturali negli ambienti rurali”.
I fattori di tipo antropico, come le pratiche agricole sempre più intensive, hanno prodotto un allarmante declino di molte specie legate agli agro-ecosistemi, soprattutto l’allodola (-86,5%1 di diminuzione nel periodo di studio), ma anche il passero d’Italia, il cardellino, la rondine, l’usignolo di fiume e tanti altri. Secondo lo studio, questo drammatico declino non colpisce soltanto le popolazioni regionali, ma risulta relativamente esteso in Europa. Per la rondine, sembrano esserci evidenze che, oltre all’intensificazione delle pratiche agricole, possano avere un ruolo importante anche i cambiamenti climatici nelle aree di svernamento.
Le iniziative e le buone pratiche per la conservazione della biodiversità urbana
Più della metà della popolazione umana risiede in centri urbani e il fenomeno dell’urbanizzazione è in fase di espansione.
La principale minaccia per la biodiversità urbana risiede nella progressiva frammentazione degli habitat naturali e para-naturali (boschi, zone umide, terreni coltivati, aree verdi artificiali), sotto la pressione della sempre più spinta antropizzazione. La conseguenza è la compromissione delle interconnessioni tra aree verdi e blu (corsi d’acqua), la cosiddetta “rete ecologica” che garantisce il flusso e gli interscambi delle specie animali e vegetali, vitali per l’equilibrio degli habitat urbani e per la conservazione delle specie autoctone che vi abitano.
Per preservare e favorire la fragile biodiversità in città si rendono quindi necessarie azioni e strategie a sua tutela, come i progetti di forestazione, la realizzazione di corridoi ecologici che mantengano le connessioni tra aree naturali e para-naturali, e una progettazione architettonica eco-sostenibile. Le iniziative di questo genere fortunatamente non mancano in Italia, e molti piccoli e grandi Comuni già da alcuni anni stanno muovendosi in questa direzione.
Molte associazioni promuovono strategie e buone pratiche per proteggere e aumentare la biodiversità nei sistemi urbani, come ad esempio: il WWF, con l’iniziativa “Urban Nature” , la LIPU e Legambiente, ma anche tantissime piccole realtà che si occupano della salvaguardia di specie protette e a rischio. E’ il caso, ad esempio, di Progetto Natura Onlus e Monumenti Vivi, che a Milano sono impegnate nella tutela dei rondoni, uccelli migratori trans-sahariani che alla fine di marzo tornano in città, insediandosi sempre nello stesso luogo di nidificazione, all’interno delle cavità che molti edifici storici offrono.
Fondamentali sono le iniziative di sensibilizzazione ed educazione ambientale rivolte alla cittadinanza, soprattutto ai più giovani. E’ infatti proprio dalla “percezione” e dalla conoscenza del mondo selvatico con cui conviviamo ogni giorno, che può attecchire e crescere il rispetto della natura e la consapevolezza che, per una armoniosa convivenza, non solo la natura deve adattarsi all’uomo, ma anche l’uomo deve adattarsi alla natura.
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